Danno parentale: i vizi della tabellazione milanese a punti

L’Avv. Marco Bona, socio fondatore dello studio MB.O, è  specialista in materia di Responsabilità Civile e risarcimento danni. Già docente presso diverse università italiane, dal 2001 è coordinatore di un gruppo europeo di studio sul danno alla persona...

L’Avv. Marco Bona, socio fondatore dello studio MB.O, è  specialista in materia di Responsabilità Civile e risarcimento danni.

Già docente presso diverse università italiane, dal 2001 è coordinatore di un gruppo europeo di studio sul danno alla persona.

Di seguito alcune riflessioni che ha redatto con i Suoi collaboratori in riferimento al Nuovi Criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale.

Dott.ssa Sarah Nalin 

Segretario SMLT

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di Marco Bona, Giorgia Lanzafame e Edoardo Traversa

Premessa – Il 29 giugno è stato pubblicato dal Tribunale di Milano il documento, a firma di quattro magistrati locali, recante «Nuovi Criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale – Tabelle integrate a punti – Edizione 2022», con allegati «Esempi di calcolo risarcitorio confrontati con il monitoraggio» e «Domande & Risposte». Questa nuova proposta milanese anela ad inserirsi nel contesto del nuovo favor manifestato dalla Cassazione per il modello a punti anche sul fronte dei danni da uccisione, con indicazione della tabella romana quale modello di riferimento nazionale, preferito rispetto alla tradizionale impostazione milanese “a forbici”. Tanto la tabella romana quanto la nuova tabella milanese impongono riflessioni sui meccanismi attraverso cui si sono formate, sui criteri scientifici alla loro base e sui loro fondamenti giuridici, emergendo significativi vizi metodologici: senz’altro non rappresentano documenti di “consenso” difettando di tutti i requisiti ben noti alla medicina legale per soluzioni consensuali a carattere scientifico.

La nuova tabella milanese abiura il suo precedente modello a forbici per i danni da uccisione che si era imposto nelle corti di merito per la sua caratteristica duttilità; al contempo, si discosta dalla tabella romana condivisa dalla Cassazione, la cui scelta è stata quella di privilegiare l’obiettivo di garantire a livello nazionale una uniformità di base dei parametri monetari. Ovviamente la scelta milanese di contrapporre una propria soluzione a quella romana rende imprescindibile comprendere quali siano i profili comuni così come gli elementi di divergenza fra le due tabelle, dato che, in assenza di indicazioni da parte della Cassazione, i magistrati del merito dovranno operare delle scelte, non solo tra i due modelli di tabelle a punti, ma anche tra altre opzioni sul tavolo.

Merita soffermarsi innanzitutto a considerare il modello romano a punti. Qui la liquidazione avviene in due fasi: la prima interamente basata sulla rigida attribuzione di punteggi per varabili di tipo oggettivo-anagrafico; la seconda basata su una personalizzazione retta da generiche indicazioni di massima circa i margini percentuali di incremento o decremento di alcune delle variabili anagrafiche. È bene sottolineare come la Cassazione abbia individuato non solo nel metodo della sommatoria dei punteggi, ma anche, e specificamente, nelle tabelle di Roma il parametro per il giudizio di conformità della liquidazione del danno parentale.

La tabella romana non era certamente esente da profili di criticità, primo dei quali proprio la logica stessa del sistema a sommatoria di punteggi: difatti, permane forte il dubbio circa la possibilità di incasellare in un rigido automatismo di punti una voce risarcitoria così peculiare quale quella del danno da perdita del rapporto parentale, con variabili cangianti da soggetto a soggetto. L’idea stessa di una tabella così concepita mal si concilia con questo danno, poiché valorizza e generalizza eccessivamente le presunzioni associate alla ricorrenza di meri elementi oggettivi ad impatto diversificato a seconda degli individui. Soprattutto, la tabella romana, sul punto imitata dalla nuova tabella milanese, non contempla un’unica scala di gravità alla cui applicazione contribuiscono tutte le variabili riscontrabili, eventualmente in via presuntiva, nel caso concreto, ma somma tra loro distinte indicazioni a punti, così rinunciando, almeno nella fase iniziale dell’attribuzione del punteggio, alla visione d’insieme della realtà fenomenologica della perdita del congiunto.

Venendo alla nuova tabella milanese, l’operazione dei tabellatori è consistita nella formulazione di due tabelle a punti in manifesta concorrenza con la tabella romana. Le nuove tabelle sono sì ispirate a quest’ultima, ma al contempo costituiscono un sistema inedito. Esse indubbiamente stravolgono del tutto la passata tradizione milanese. Sviante, pertanto, potrebbe dirsi quanto affermato nella sezione «Domande & Risposte» della nuova proposta, cioè che non si tratterebbe di “nuove tabelle” ma delle stesse tabelle milanesi integrate con un sistema a punti. L’innesto di un sistema per sommatoria di punteggi – distinto dal modello per media tra punteggi che di fatto connotava l’impostazione tradizionale della tabella a forbici – genera infatti un approccio tabellare completamente diverso da quello precedente, di per sé affetto da tutte le criticità già riscontrabili a proposito della tabella romana. Peraltro, in seno alla nuova tabella milanese si aggiungono ulteriori profili problematici.

In primo luogo, il nuovo modello milanese contempla due differenti tabelle, le quali fissano punteggi diversi per le medesime variabili: una per il danno c.d. parentale per la perdita del genitore/figlio, del coniuge e assimilati; l’altra per il danno parentale per la perdita del fratello, del nipote o del nonno. Non si comprende a questo proposito perché le medesime variabili, età della vittima primaria e secondaria e convivenza tra costoro, possano e debbano avere un impatto diverso sulla valutazione della sofferenza del superstite a seconda che questi sia genitore/figlio o fratello/nonno. In breve, sul punto appare preferibile l’impostazione romana, che assegna un punteggio per ciascuna variabile in relazione a tutti i congiunti.

Altra criticità si pone circa la corrispondenza tra la estrazione del valore medio del punto dal precedente come teorizzata dalla Cassazione e l’operazione dei tabellatori milanesi di quantificazione del punto-base, consistita nel dividere per cento i due importi massimi previsti dalla tabella a forbice. Nell’adesione al modello romano la Cassazione aveva posto il requisito, meritevole di ulteriori riflessioni, della determinazione del valore medio del punto sulla base dei precedenti. Sennonché, fermi i problemi associati alla selezione ed all’analisi dei precedenti (questione metodologica rimasta priva di adeguate considerazioni), si ha come i precedenti considerati dai nuovi tabellatori milanesi siano intervenuti sotto modelli a forbice e non già sotto modelli a sommatoria di punteggi. Dunque nel passaggio ad un modello nettamente diverso (quello ultimo della “sommatoria per punti partendo da zero”) la continuità con la tradizione milanese e con il precedente case-law è più apparente che reale: sotto i “massimi” non vi sono relazioni con la tradizione, di fatto svuotata di ogni sua pregressa sostanza. In particolare, è ovvio come l’incidenza attribuita ad ogni singola variabile nel modello a sommatoria non trovi alcun riscontro nei precedenti. Per essere chiari non ricorre alcun precedente che supporti il punteggio attribuito a questa od a quella variabile.

Nel merito delle scelte operate dalle nuove tabelle, emerge innanzitutto come i parametri oggettivi scelti dai tabellatori non annoverino alcuna gradazione, ponendosi soltanto la radicale alternativa tra l’attribuzione piena del punteggio e lo zero (fatta eccezione per il discrimine relativo alla convivenza costituito dal vivere nella medesima abitazione oppure nell’appartamento accanto). In particolare, il parametro della convivenza, come concepito nelle tabelle, risulta inidoneo a valorizzare una realtà fenomenologica varia e sicuramente graduata/graduabile, che va dalla convivenza nella stessa abitazione, all’abitazione sullo stesso pianerottolo, nello stesso palazzo, nella stessa strada, in strade attigue e così via. Se è vero che queste situazioni di fatto, dimostrabili in giudizio, possono ben venire in rilievo in sede di personalizzazione del danno (con attribuzione di un massimo di trenta punti), è altrettanto vero che il parente superstite che dimostri in giudizio l’abitazione in un luogo vicino e una frequentazione giornaliera sarà comunque discriminato rispetto al superstite convivente, il quale avrà già ottenuto in quella sede il punteggio-base attribuibile per la convivenza. Ancora, si potrebbe obiettare che in questo caso il convivente non possa aspirare a ulteriori punti in sede di personalizzazione; tuttavia, è da registrare un problema di coordinamento punteggi anagrafici/oggettivi e punteggi personalizzanti, potendosi prospettare piani almeno parzialmente sovrapponibili con esiti potenzialmente discriminatori a svantaggio del congiunto superstite costretto a personalizzare un fattore eppure oggettivo-anagrafico quale la prossimità delle abitazioni. Tutto ciò assume ulteriore rilievo considerandosi la sopravalutazione del fattore convivenza, laddove in tutta una serie di casi potrebbe non risultare un valido discrimine: l’affetto di un genitore per un figlio che si rende autonomo potrebbe anche non diminuire, il che potrebbe anche ammontare ad una presunzione (opposta a quella – in nessun modo verificata dai tabellatori milanesi – che connota la nuova proposta).

Diversamente dal modello romano, ove, assegnati tutti i punti di base, si può procedere alla personalizzazione (sia in diminuzione che in aumento), nel nuovo modello milanese è prevista l‘attribuzione di un punteggio aggiuntivo (fino a 30 punti) anche per la seconda fase della liquidazione. Questa previsione costituisce un livellamento verso il basso della tutela risarcitoria del danno parentale: infatti, considerato che nel modello romano il giudice dovrebbe procedere ad incrementi o decrementi una volta assegnati tutti i punti a disposizione sulla base dei dati anagrafici (punteggi idonei a comportare, fatta eccezione per alcuni casi, risarcimenti corrispondenti ai tradizionali parametri massimi “milanesi”, se non oltre), nel nuovo “modello milanese” si abbassa di molto l’asticella di partenza del trattamento base rispetto alla “tabella romana”, ciò a fortiori in ragione del tetto – di cui si dirà – imposto dai tabellatori milanesi.

Perché poi il 30% (in origine, peraltro, erano stati previsti 32 punti) e non già il 50% od oltre? La giustificazione addotta dai promotori delle nuove tabelle milanesi è che l’indicazione dei 30 punti su 100 (il massimo conseguibile) corrisponderebbe alla misura recata dall’art. 138 Cod. Ass. Priv.; sennonché la percentuale normativa – introdotta dal legislatore in manifesto contrasto con una diversa e più generosa impostazione giurisprudenziale – non può costituire un valido riferimento per il danno da perdita del rapporto parentale; senz’altro tale misura non risulta supportata dal “monitoraggio”, eppure elevato ad imprescindibile parametro dai redattori delle nuove tabelle.

Un ulteriore dato caratterizzante le tabelle milanesi è il contenimento delle liquidazioni finali entro i valori massimi delle precedenti tabelle a forbici, corrispondenti a cento punti (secondo l’operazione di estrazione del punto-base di cui si è detto), nonostante il massimo punteggio raggiungibile dalle due tabelle in ipotesi di attribuzione del totale delle variabili e della personalizzazione sia superiore a cento, in particolare centodiciotto e centosedici punti per le due tabelle. La inspiegabile livella così introdotta ha l’effetto del tutto paradossale di penalizzare proprio i casi giudicati più gravi dal giudice, il quale, dopo aver attribuito i punti per le variabili e avere equitativamente stimato una personalizzazione del danno massima o prossima al massimo, si vedrà costretto a ridurre la liquidazione per farla rientrare entro i vecchi massimi tabellari.

La previsione del “cap” di 100 punti non risulta in armonia con l’obiettivo e l’idea stessa della “riparazione integrale”: se un giudice ritiene che una certa somma (corrispondente ad un determinato numero di punti) sia quella più idonea a rappresentare un risarcimento equo e completo, va da sé che anche un solo centesimo di euro in meno infici, tanto sul piano logico che a livello di conformità all’art. 1226 c.c., il risarcimento decurtato in ragione del “cap”, pure configurandosi la violazione dell’art. 3 Cost.

Questa impostazione risulta ancora più grave, se si considera la contestuale pretesa (a sua volta, per quanto consta, non supportata dal “monitoraggio”) di inserire a viva forza nella contingentata “personalizzazione” pure la liquidazione della “agonia/penosità/particolare durata della malattia della vittima primaria laddove determini una maggiore sofferenza nella vittima secondaria”, voce che non concerne l’evento uccisione del congiunto, bensì la precedente violazione della salute della “vittima primaria” con tutte le conseguenze, sofferenziali e dinamico-relazionali, per i famigliari associate al “danno catastrofale”.

Ad incrementare l’assurdità del “cap” si ha come esso – operante con sottrazione di punti assegnati con un rigido “sistema a sommatoria” – sia previsto in una tabella giurisprudenziale: spetterebbe al legislatore fissare eventuali tetti risarcitori, fermo poi il giudizio sulla loro costituzionalità.

Infine, sussiste il rischio che la previsione del “cap” possa finire, nei casi più gravi, con il comportare, occultamente, una sistematica riduzione dei punti ascritti alla “personalizzazione”, atteso che i giudici, laddove al contrario esplicitassero le decurtazioni comportate dal “cap”, si troverebbero esposti ad inevitabili censure. In altri termini, si è dinanzi alla possibilità di “effetti occulti” del “cap” inficianti quella trasparenza che una tabella dovrebbe garantire; nelle ipotesi più gravi il sospetto di aggiustamenti ad hoc sarà sempre dietro l’angolo.

Illustrato quanto sopra, operando una complessiva comparazione tra la tabella romana e le nuove tabelle milanesi, risulta che le ultime condurranno a punti di partenza e liquidazioni complessive più basse delle prime, in alcune ipotesi perfino al di sotto dei minimi tabellari del modello milanese a forbici che si proporrebbero di innovare. Tale livellamento verso il basso delle liquidazioni non può che destare preoccupazioni non solo sul piano giudiziale ma anche e in primo luogo nel campo delle trattative stragiudiziali, a causa della nota tendenza delle imprese assicuratrici di livellare le proprie disponibilità conciliative sui parametri base.

Le considerazioni fin qui svolte consentono di sollevare seri interrogativi circa le scelte politiche dei tabellatori milanesi, le cui nuove tabelle tendono di fatto a irrigidire e comprimere l’attuazione del diritto al risarcimento del danno parentale, con risultati tendenzialmente sfavorevoli ai danneggiati.

Peraltro, è del tutto lecito dubitare che il nuovo modello milanese sia adeguato a recepire i dettami della più recente Cassazione, dato che le nuove tabelle si discostano sia sul piano quantitativo sia sul piano strutturale dal modello romano gradito dai giudici di legittimità: sul piano quantitativo – si è detto – in ragione del livellamento verso il basso e del tetto massimo comunque fissato alle liquidazioni; sul piano strutturale per la scelta stessa di attribuire un punteggio anche alla personalizzazione del danno, che nella prospettiva romana assecondata dal giudice di legittimità doveva invece costituire una correzione del risultato complessivo massimo tratto dalle variabili oggettivo-anagrafiche.

In generale, si ritiene che si sarebbe pure dovuto riflettere sulla condivisibilità stessa dell’opzione tracciata dalla Cassazione. Infatti, il “metodo per media tra livelli di intensità/gravità” (o “metodo della media della intensità/gravità delle circostanze di fatto”), che di fatto connotava l’applicazione (laddove operata correttamente) della precedente tabella milanese, poteva essere affinato attraverso una delle seguenti alternative: dando luogo ad un sistema costruito sullo sviluppo di tabelle a punti per le variabili ritenute portanti, con – caratteristica fondamentale – media finale (non già sommatoria!) tra i diversi punteggi (cfr. la proposta pubblicata all’indirizzo simlaweb.it/risarcimento-danno-parentale/ in calce all’articolo di Franco Marozzi, Risarcimento del danno parentale: una soluzione temporanea del Tribunale di Milano, del 23 luglio 2021); oppure, come proposto da Patrizia Ziviz, costruendo una scala di gravità con graduazione di carattere descrittivo, eventualmente anche scandita attraverso una misurazione a punti.

I tabellatori milanesi, purtroppo, hanno perso l’occasione di riflettere su queste alternative e, più in generale, su criteri e metodi di redazione di una tabella sul danno da perdita del rapporto parentale. Indubbiamente nel corso degli ultimi lavori ambrosiani sono stati accantonati dai tabellatori i richiami da parte della medicina legale, presente ad alcuni degli incontri (per lo più virtuali), a soffermarsi preliminarmente sulla metodologia alla base della redazione di documenti di consenso così come sulla trasparenza circa eventuali conflitti di interesse.

La proposta milanese ultima rimane un documento fortemente voluto da un “gruppo ristretto”, dettata dall’esigenza, avvertita da taluni, di contrapporre un prodotto ambrosiano a quello romano, a prescindete dalla scientificità dei criteri o del metodo di lavoro.

Si rimane quindi in attesa dell’intervento della Cassazione nel merito delle nuove tabelle, auspicando una riapertura del dibattito anche sul modello ideale per la liquidazione del danno parentale, che non sia limitato alla competizione tra tabelle a sommatoria di punti da zero ma riconsideri il tradizionale modello equitativo puro a forbici, opportunamente aggiornato e a sua volta emendato dalle proprie criticità. All’ipotesi di un intervento del legislatore occorre invece guardare con estremo timore, atteso che questi ha sempre denotato forti inclinazioni a soddisfare i desiderata delle imprese assicuratrici (come dimostrato anche dagli ultimi tentativi di dare luogo alle tabelle di cui all’art. 138 Cod. Ass. Priv.).

R. riproduzione riservata

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