Il documento della Società Medico Legale del Triveneto
Nella primavera di quest’anno il Consiglio Direttivo della SMLT ha ritenuto opportuno, anche considerando l’evenienza nell’autunno del convegno annuale della Nostra Associazione , di incaricare il Dott. Francesco Pravato, Responsabile Scientifico della SMLT, di istituire una Commissione di studio per analizzare le problematiche che la modalità valutativa del danno differenziale-incrementativo potesse presentare nell’affrontare i casi pratici che si presentavano nel contesto dell’attività professionale.
Alla Commissione hanno aderito più figure professionali: Professori universitari, Professionisti di oltre decennale impegno lavorativo, Professionisti più giovani ed anche Medici in formazione specialistica.
Si sono svolte più riunioni in modalità telematica, affrontando via via i casi pratici che presentati. Ciò con la ratio che le domande, solo perché esistevano, avevano la stessa importanza delle risposte.
È stato infine espresso questo documento che porta con sé alcuni aspetti condivisi dai partecipanti e altri che necessariamente potranno essere fonte di ulteriore discussione.
Questa Segreteria lo pone quindi all’attenzione degli iscritti confidando che possa essere un utile ausilio di riflessione ed eventualmente di soluzione condivisa nella pratica professionale di fattispecie quali descritte.
Dott.ssa Sarah Nalin
Segretario SMLT
Il presente documento intende sintetizzare quanto emerso nel corso di una serie di incontri svoltisi tra il mese di giugno e il mese di settembre 2024 tra colleghi medici specialisti in medicina legale in tema di cd. “danno differenziale-incrementativo”.
L’obiettivo degli incontri era quello di proporre un confronto sulla metodologia medico-legale in relazione ai criteri indicati dalla Suprema Corte di Cassazione riguardanti la valutazione del danno alla persona nei soggetti affetti da condizioni morbose preesistenti. Oltre a richiamare alcuni riferimenti dottrinali necessari per formulare qualsivoglia considerazione sul danno alla persona, il gruppo di lavoro si è concentrato su aspetti concreti della problematica, ricercando atteggiamenti valutativi, per quanto possibile, omogenei.
Durante gli incontri sono state raggiunte interpretazioni per lo più concordanti; tuttavia, talora, nell’analisi di un medesimo caso, sono state proposte valutazioni divergenti mettendo in evidenza il fatto che la metodologia del danno differenziale-incrementativo suggerita dai riferimenti dottrinali e giurisprudenziali non di rado risulta o non applicabile o di difficile applicazione. Si è sentita, pertanto, la necessità di rappresentare tali difficoltà agli eventuali lettori con competenze giuridiche, al fine di stimolare contributi interpretativi e fornire possibili indirizzi utili alla fase valutativa.
Preliminarmente si riportano di seguito alcune considerazioni di carattere generale che abbiamo ritenuto opportuno richiamare.
1) Il cd. “stato anteriore” del soggetto corrisponde al quadro complessivo delle condizioni fisiologiche e patologiche in cui l’individuo versa nel momento del verificarsi dell’evento antigiuridico di interesse. L’analisi dello stato anteriore, e delle sue conseguenze, sulla reale entità e qualità della disabilità nella valutazione del danno alla persona in ambito civilistico è da sempre prerogativa dello specialista medico legale. Ogni contributo dottrinale sul tema – ricordiamo, in particolare, il passaggio del Cazzaniga: “il responsabile deve risarcire tutto il danno ma non più del danno e se la cosa danneggiata era sin da prima difettosa, di quel difetto si dovrà tener conto” – A. Cazzaniga 1955 – precisa, infatti, come lo stato anteriore debba essere attentamente considerato ai fini di una corretta valutazione del reale danno alla persona.
2) Il cd. danno differenziale – nell’accezione della Cassazione Civile (cfr. in particolare Sentenza 28986/2019) – deriva dall’adozione di una metodologia valutativa medico-legale differente e alternativa alla valutazione c.d. tradizionale. Trattasi di una metodologia di valutazione medico-legale che prende in considerazione le preesistenze morbose (ovvero lo stato anteriore) di un soggetto che incorre in una nuova menomazione a carattere concorrente cagionata da responsabilità di terzi. Non si tratta di un fenomeno nuovo dal punto di vista biologico, poiché non si scopre lo stato anteriore, ma di una metodologia valutativa differente nel rapportarsi allo stesso. Il modello valutativo proposto appare orientato a valorizzare le peculiarità biologiche del singolo individuo per identificare e quantificare le concrete, eventuali, ricadute peggiorative funzionali correlate all’incidenza di una nuova menomazione su una funzione già compromessa o abolita per altra causa. In ambito medico-legale un metodo differente rispetto a quello tradizionale era già stato precedentemente proposto dalla Scuola Milanese (E. Ronchi. O. Morini. “Riflessioni in tema di stato anteriore nella valutazione del danno biologico”. Riv. It. Med. Leg. XIV. 1992).
3) Come risulta dall’esame di diverse sentenze sull’argomento, la Cassazione Civile si focalizza sulle effettive “forzose rinunce”[1] che il fatto ingiusto ha causato nel soggetto leso. Nella sentenza della III Sez. N. 28986/2019 (sub. Nota 1) è inoltre precisato quanto segue in merito alla coesistenza e concorrenza delle menomazioni: “Quel che dunque rileva, al fine della stima percentuale dell’invalidità permanente, non sono né formule definitorie astratte (“concorrenza” o “coesistenza” delle menomazioni), né il mero riscontro della coincidenza o della diversità degli organi o delle funzioni menomati. Poiché si tratta di accertare un nesso di causalità giuridica, quel che rileva è il giudizio controfattuale, e dunque lo stabilire col metodo c.d. della “prognosi postuma” quali sarebbero state le conseguenze dell’illecito, in assenza della patologia preesistente. Se tali conseguenze possano teoricamente ritenersi pari sia per la vittima reale, sia per una ipotetica vittima perfettamente sana prima dell’infortunio, dovrà concludersi che non vi è alcun nesso di causa tra preesistenze e postumi, i quali andranno perciò valutati e quantificati come se a patirli fosse stata una persona sana”.
4) Appare opportuno precisare che la valutazione della concreta influenza dello stato anteriore, ovvero l’effettiva rilevanza dello stato anteriore, sulla disabilità conseguente all’illecito, spetta al medico specialista in medicina legale cioè all’esperto di medicina, di biologia e del funzionamento dell’essere umano nelle sue varie espressioni sociali e lavorative. Il Giudice demanda infatti al proprio Consulente tecnico medico legale di stabilire se, in considerazione dello specifico stato anteriore del soggetto, una menomazione derivata da un illecito possa incidere in modo differente rispetto ad un uomo esente da condizioni patologiche preesistenti, ovvero se possa incidere in modo differente sul cd. uomo medio.
5) Il danno alla persona quale danno biologico consiste nell’alterazione permanente dell’integrità psico-fisica della persona, avente incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato. Il danno biologico riflette dunque le “forzose rinunce” patite dal leso e conseguite alla menomazione occorsa. I barème medico-legali consentono di quantificare il danno biologico e le associate “forzose rinunce”, in modo comparativo scientifico (e non scientifico assoluto), attraverso percentuali di invalidità permanente e sulla base del presupposto che una menomazione anatomo-funzionale di un distretto correli normalmente ad una certa disabilità, avendo come riferimento il cd. “uomo medio”, con stato anteriore integro ed esente da patologia. Qualora il soggetto presenti, invece, un’alterazione dello stato anteriore per preesistenti condizioni patologiche, il danno alla salute e le correlate “forzose rinunce” cagionate da una nuova menomazione possono essere differenti dal punto di vista qualitativo e quantitativo rispetto quanto atteso nell’“uomo medio”, ovvero sano, che subisce la medesima menomazione distrettuale. In tale scenario l’acritica applicazione dei punteggi percentuali riportati nei barème medico-legali di riferimento non è proponibile.
6) La salute – che secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) va intesa quale condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità – è tutelata come fondamentale diritto dell’individuo ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione Italiana. L’OMS nel 1980 ha proposto la cd. Classificazione Internazionale delle Menomazioni, Disabilità e Handicap, International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH), secondo cui i concetti di menomazione, disabilità e handicap sono correlati da una catena sequenziale che trae origine da una menomazione, che a sua volta causa una disabilità, la quale si traduce, in ultimo, in un handicap, ossia una condizione di svantaggio sociale e relazionale per l’individuo. L’ICIDH ha subito numerose modifiche nel corso degli anni fino alla revisione definitoria con l’introduzione della cd. Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF), che definisce un linguaggio uniforme e standardizzato, oltreché un modello concettuale di riferimento per la descrizione della salute e degli stati ad essa connessi.
Poste tali premesse, sono di seguito riportate le considerazioni condivise dal gruppo di lavoro relativamente alla modalità di stima del danno differenziale-incrementativo attraverso l’esemplificazione di alcuni casi tratti dall’esperienza professionale proponenti svariate problematiche valutative nell’ottica di delineare indirizzi condivisi per situazioni consimili.
Nell’esporre alcuni dei casi di cui si è discusso, abbiamo volutamente mantenuto il tono colloquiale che ha caratterizzato i nostri incontri e che riteniamo più consono ad esprimere il clima del dibattito scaturente dagli interventi degli specialisti intervenuti.
– Caso riguardante un quadro di frattura dell’avampiede cagionata da sinistro stradale in soggetto con preesistente rigidità della caviglia. Dal punto di vista funzionale, l’insistenza della nuova menomazione sullo specifico stato anteriore del soggetto ne ha peggiorato la funzione deambulatoria in maniera significativa. Il soggetto infatti, che dapprima era, “solo”, non in grado di correre, a seguito dell’evento occorso nel sinistro (frattura dell’avampiede) presenta al momento della valutazione una funzione deambulatoria completamente abolita. In assenza della preesistenza, il quadro menomativo non sarebbe stato connotato da una tale gravità. Il caso si presta pertanto ad una valutazione del danno differenziale di tipo incrementativo, stimando la percentuale di invalidità complessiva da cui sottrarre quella preesistente per ricavare la percentuale del danno riferibile al sinistro. Quest’ultima percentuale, nella ricaduta economica, sarà computata con il valore del punto non già a partire da 0, come sarebbe nella valutazione tradizionale, ma a partire dalla percentuale di danno attribuita alla preesistenza.
– Caso riguardante un soggetto con importante disabilità deambulatoria che patisce un’ulteriore menomazione agli arti inferiori a causa di sinistro che annulla completamente tale residuo funzionale. Precedentemente, la persona riusciva a raggiungere la stazione eretta mentre a seguito dell’evento necessita dell’utilizzo di ausili (quali carrozzina) per gli spostamenti. La forzosa rinuncia causata dalla nuova menomazione è rilevante e, anche in questa fattispecie, si è condivisa l’opportunità di valutare il danno con riferimento alla metodologia del danno differenziale incrementativo.
– Caso riguardante un soggetto con patologia psichica che subisce a causa di sinistro l’amputazione dell’avambraccio. Abbiamo ritenuto che in un caso consimile la menomazione rappresentata dall’amputazione debba essere valutata con metodo tradizionale, posto che questa incide in modo sostanzialmente sovrapponibile nel compromettere la condizione del leso sia che questi sia affetto da una preesistente patologia psichica sia che questi ne sia esente.
– Caso riguardante la persona anziana che incorre in una nuova lesione-menomazione che gravi sulla medesima funzione già parzialmente compromessa per età o per patologia. Sul punto si è osservato che, a parità di lesioni, sono piuttosto frequenti nell’anziano esiti menomativi peggiori rispetto all’atteso. Ad ogni buon conto è opportuno valutare se la validità psico-fisica preesistente del soggetto, con le relative disabilità e/o menomazioni, possa essere riconosciuta come “normale” per età. La valutazione del danno biologico andrebbe pertanto compiuta necessariamente caso per caso, tenendo conto delle specifiche indicazioni della Consensus Conference della SIMLA presente sul sito ministeriale delle Linee Guida (Consensus Conference “Valutazione medico-legale del danno biologico nella persona anziana”. Approvato il 31/01/2020).
– Caso riguardante una piccola lesione provocata da sinistro che esita in una minima menomazione a carico di un organo o un arto interessato da menomazione preesistente. Al proposito, si pone l’esempio di una lieve sofferenza articolare del ginocchio, di per sé priva di apprezzabili limitazioni funzionali se non di un modesto – comunque attendibile – disagio soggettivo, in un soggetto con arto inferiore portatore di una preesistenza, quale ad esempio una rigidità post traumatica dell’articolazione dell’anca. In termini quantitativi la menomazione più recente potrebbe essere valutata nell’ordine del 2-3% di danno permanente, mentre per la preesistenza potrebbe essere riconosciuto un danno biologico permanente nell’intorno del 25%. A questo punto ci si chiede: il caso di specie si presta ad una valutazione del danno in termini differenziali, proponendo il passaggio da un 25% a un 27%? Il disagio causato dalla menomazione recente può considerarsi sostanzialmente uguale a quello patito dall’ “uomo medio”, malgrado la menomazione da valutare insista sul medesimo arto già interessato da preesistenza patologica? La difficoltà statico-deambulatoria che comporta di per sé la menomazione preesistente è stata aggravata dal nuovo evento di danno o rimane sostanzialmente la medesima? La nuova menomazione è da intendersi necessariamente come concorrente in quanto inscritta nello stretto distretto anatomico interessato? Si è ritenuto che, nell’esempio proposto, la piccola menomazione provocata dal sinistro sia coesistente, posto che la nuova menomazione non causa nella persona “forzose rinunce” differenti rispetto a quelle che porterebbe in un soggetto sano. Si è comunque sottolineata la necessità di una valutazione medico biologica calata sul caso specifico.
– Caso che scaturisce da un’ipotesi di danno ascrivibile a responsabilità medica in cui si contesta il mancato beneficio atteso per asserita inadeguatezza della prestazione sanitaria o, comunque, avente ad oggetto una menomazione preesistente non ancora stabilizzata. Qualora lo stato anteriore del soggetto non sia già stabilizzato al momento del fatto nuovo, il quadro preesistente andrebbe inquadrato e valutato cercando di definire quale sarebbe stato l’esito in carenza della menomazione ascrivibile al sinistro tramite una “prognosi postuma”. Stimando quindi l’entità complessiva dell’invalidità effettivamente presente e dell’invalidità che in termini probabilistici sarebbe in ogni caso esitata, si procederà applicando la metodologia valutativa del danno differenziale.
– Caso riguardante un soggetto che riporta una lesione a seguito di illecito, la cui guarigione è compromessa a causa di un nuovo e successivo evento antigiuridico. A titolo esemplificativo, una tale evenienza può realizzarsi nel caso di un esito sfavorevole ed evitabile dovuto ad erronea prestazione sanitaria in un paziente vittima di un incidente stradale con responsabilità di terzi. La soluzione, in termini valutativi, non è semplice. Si è ipotizzato di applicare un criterio di danno ripartitivo, ovvero basato sulla ripartizione dell’entità del danno a seconda della responsabilità più o meno grave dell’autore del fatto. Tale posizione è stata tuttavia ritenuta non condivisibile qualora si volesse attribuire allo specialista medico legale il compito di ripartire le componenti del danno “graduando” l’entità della colpa nelle condotte dei soggetti responsabili coinvolti. Si è dunque discusso se, invece, tale ripartizione competa con riguardo al tema della causalità materiale e della riconducibilità fisiopatologica del quadro menomativo all’uno e all’altro evento antigiuridico. Si è infine condivisa la necessità di operare con la metodologia del danno differenziale, posto che la metodologia del “danno ripartitivo” può maggiormente risentire di interpretazioni soggettive rispetto alla metodologia del danno differenziale.
– Caso riguardante un soggetto con plurime menomazioni coesistenti monocrone conseguenti ad un unico illecito, quale un incidente stradale, cui conseguono più lesioni, delle quali solo una aggrava lo stato anteriore della persona. A titolo esemplificativo, una grave frattura di caviglia, guarita con grave rigidità antalgica della caviglia stessa, in soggetto portatore di una preesistente anchilosi del ginocchio controlaterale, e con coesistente importante frattura di polso guarita con notevole rigidità. Al fine della valutazione, si potrebbe ipotizzare di procedere in modo semplicistico indicando un’unica percentuale da intendersi quale il danno differenziale, considerando la globale invalidità, cui sottrarre l’invalidità preesistente per l’anchilosi del ginocchio; tuttavia, applicando tale metodo, per la contestuale presenza di una frattura del polso – menomazione da intendersi sostanzialmente coesistente – verrebbe riconosciuto un risarcimento di gran lunga maggiore rispetto a quanto riconoscibile nel c.d. “uomo medio”, nonostante la medesima menomazione della funzionalità prensile. Esemplificando in termini percentuali, stimando il danno alla funzione deambulatoria nella misura del 40% e aggiungendo a questa anche la menomazione al polso, si giungerebbe ad una valutazione dell’invalidità complessiva del 47-48%. Quantificando lo stato anteriore nella misura del 25%, si riconoscerebbe un danno differenziale di 22-23 punti a partire dal venticinquesimo punto, valutando – nella pratica – la menomazione a livello del polso come danno differenziale dal 40% al 47-48%. In tale ipotesi si verrebbe a riconoscere un risarcimento significativamente maggiore per la riduzione di funzionalità del polso a quanto riconoscibile nel cd. “uomo medio”, cui verrebbe normalmente riconosciuto un danno biologico nella misura del 12%. Ne consegue che, nell’ipotesi che un soggetto di 40 anni, precedentemente sano, o comunque esente da menomazioni preesistenti, subisca una lesione al polso che esita in una menomazione valutabile nella misura del 12% di danno biologico, sarebbe riconosciuto un risarcimento quantificabile all’incirca in euro 35.000. Adottando il metodo di valutazione del danno differenziale sulla globale invalidità del soggetto, valutando dunque la menomazione al polso dal 40% al 47-48%, al leso sarebbe riconosciuto un risarcimento nell’intorno degli euro 108.000 e, dunque, cospicuamente più ingente. L’evidente sperequazione che ne deriva ci ha indotto a ritenere che casi analoghi debbano essere valutati attraverso l’applicazione del metodo tradizionale.
– Si è condivisa la necessità di utilizzare con cautela i barème medico legali in presenza di uno stato anteriore patologico per la presenza di menomazione concorrente: i barème sono infatti uno strumento indispensabile per quantificare il danno all’integrità psicofisica comprensivo degli aspetti dinamico relazionali, dunque il danno alla salute, valutando in modo analogo invalidità analoghe ed in modo differente invalidità differenti. I barème sono tuttavia riferiti all’“uomo medio”, pertanto, qualora sia presente una menomazione preesistente, che rende le caratteristiche della persona lesa differenti da quelle dell’uomo medio, le indicazioni del barème dovrebbero essere considerate in modo critico ed essere parametrate alla reale contrazione della salute del danneggiato, tenendo conto delle sue aggiuntive forzose rinunce.
A tal riguardo, si propone l’ipotesi di una menomazione che apporta difficoltà aggiuntive ad una funzione precedentemente limitata – quale, nell’esempio di seguito proposto, alla capacità di spostamento autonomo – e che si ripercuote in modo prevalente su un’altra funzione – quale, ad esempio, la funzione prensile. Ipotesi consimile si viene a realizzare qualora una frattura all’arto superiore riferibile a sinistro guarisca con deficit funzionale in un soggetto in carrozzella per un preesistente deficit funzionale degli arti inferiori. Poiché tale individuo utilizza gli arti superiori per sospingere la carrozzella, la nuova menomazione dell’arto superiore inciderebbe – non solo sulla funzionalità prensile, come genericamente avverrebbe in un soggetto sano – ma anche sulla capacità di spostamento. In tale fattispecie si ritiene utile l’applicazione del metodo tradizionale, riconoscendo una percentuale di invalidità adeguata alla frattura in rapporto alla ridotta funzionalità degli arti superiori, da maggiorare nel caso specifico del soggetto in esame, in considerazione dell’incidenza della riduzione della funzionalità degli arti superiori sulla possibilità di spostamento autonomo. Eventualmente, in sede liquidativa, potrebbe anche farsi ricorso alla personalizzazione del danno, date le peculiari condizioni soggettive. Alla luce della complessità della tematica affrontata, il gruppo di lavoro ritiene che le considerazioni di cui al presente documento non debbano essere intese come definitive o inconfutabili, ma anzi come proposte suscettibili delle eventuali modifiche e auspicabili integrazioni che dovessero emergere nel corso dei prossimi incontri previsti, anche sulla scorta dei casi direttamente incontrati nella pratica professionale.
Alla luce della complessità della tematica affrontata, il gruppo di lavoro ritiene che le considerazioni di cui al presente documento non debbano essere intese come definitive o inconfutabili, ma anzi come proposte suscettibili delle eventuali modifiche e auspicabili integrazioni che dovessero emergere nel corso dei prossimi incontri previsti, anche sulla scorta dei casi direttamente incontrati nella pratica professionale.
[1] Con tale termine, nel testo della sentenza della III Sez. N. 28986/2019, si dà la seguente definizione: la perdita della capacità di continuare a svolgere anche una soltanto della attività svolte dalla vittima prima dell’infortunio.
Hanno partecipato agli incontri riassunti nel presente documento, i Colleghi: Flavio Alessio; Viviana Ananian; Anna Aprile; Gianni Barbuti; Bianca Beltrame; Enrico Ciccarelli; Raffaele De Caro; Luca Doro; Claudia Frignani; Andrea Galassi; Antonio Genco; Mirella Libero; Nicola Maguolo; Marina Mainente; Paolo Moreni; Carlo Moreschi; Calogero Nicolai; Tommaso Pennelli; Matteo Perilli; Francesco Pravato; Davide Roncali; Vito Salamone; Valentina Triolo.