IL PUNTO DI VISTA DELL’ASSICURATORE

Ringrazio il dr. Flaviano Antenucci, uno dei referenti culturali della SMLT per aver autorizzato la pubblicazione della trascrizione della relazione che ha esposto al convegno SMLT del 14.04.2023.

Buona lettura

Dott.ssa Sarah Nalin

Segretario SMLT

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IL PUNTO DI VISTA DELL’ASSICURATORE

Oggi ho il piacere di raccontarvi il punto di vista di ciò che ho sempre gestito che non è solo e tanto il modo di vedere dell’assicuratore, ma quello delle strutture sanitarie, dei medici perché l’assicuratore questo deve fare di mestiere, non deve seguire “il suo punto di vista”, ma deve fare la cosa migliore per il suo assicurato perché solo in questo modo riesce a fare anche la cosa migliore per sé: gli affari si fanno sempre in due! Non ho mai visto in 40 anni di mestiere un affare vero in cui ha guadagnato solo una delle parti…

 Quando ho dovuto decidere come inserirmi – in un tema così importante non solo per me ma anche per le strutture per le quali lavoro e faccio consulenza – ho deciso di parlare di quel pezzo di mestiere che serve a tutti gli attori della RC Sanitaria, anche in Regione come abbiamo sentito all’inizio. Perché quello del Loss adjustment è un problema pressante, perché inevitabilmente a valle di ogni compiuta gestione del rischio in forma preventiva ci sono comunque richieste risarcitorie che vanno affrontate, comprese e risolte.

Allora l’unica cosa che mi è venuta in mente di fare oggi tenuti presenti anche gli altri interventi, e sapendo che alla fine io rappresento l’ultimo anello della catena, quello che in qualche modo quando tutti hanno visto di che cosa si tratta e l’hanno inquadrato deve poi trovare una soluzione diciamo così pratica, è di parlarvi solamente di un’emozione

 L’emozione che provo io di fronte a una sentenza (la Cass. Civ. 24.883/2019) che è molto più risolutiva e quindi per me che sono l’ultimo anello della catena, è molto più facile di mille altre, perché trova soluzioni a una questione che diversamente sai di dover risolvere ma non hai nemmeno la possibilità di dire “lo posso fare sempre”.

Ora questo è per me non tanto e solo il concetto della perdita di chance ma una sentenza che mi ha colpito moltissimo e della quale non parlerò perché ci sono persone più autenticamente dentro il tema rispetto a me, ma vi parlerò invece di quello che è l’emozione di avere la soluzione in mano.

Nella sentenza che è stata più volte citata – una di quelle del decalogo –  c’è un passaggio l’unico di cui vi parlerò, che è questa citazione   a un certo punto della sentenza, ove viene scritto che non c’è altro modo di descrivere quanto pesa.

 Che cos’è anche ontologicamente la perdita di chance se non questa definizione?

E questa definizione   non è solo un modo molto affascinante di raccontare la cosa, ma è la miglior descrizione del peso e della quantificazione di ciò che non so

Dopo aver   indagato tutto quello che so, a un certo punto resta quello che non so: questo è la perdita di chance, questa è “The Measure of our ignorance”  

Allora quello che vorrei fare è proporvi un gioco: questo gioco è uno di quelli che mi appassiona di più nell’enigmistica ed è “il bersaglio”.

È un gioco di logica in cui devi collegare tra loro tutte le parole, ed il cui legame può essere dato o da un’idea comune o perché una è l’anagramma di un altra o perché addirittura magari le persone che hanno detto queste due parole hanno lo stesso cognome.

 allora facciamo questo gioco con The Measure of our ignorance.

La citazione che c’è nella sentenza sul danno da perdita di chance è una citazione di Henri Poincarè: lui diceva che la chance non è nient’altro che il peso di ciò che non sappiamo.

Questo era il suo modo di descrivere anche matematicamente ma dal punto di vista della “Scienza alta” che cos’è una chance.

Partiamo da questa che è la vera citazione della sentenza quindi “il peso di ciò che non sappiamo”.

E da questo   arriviamo al secondo step del gioco del Bersaglio: un economista dell’inizio del Novecento che doveva darsi la spiegazione di fatti economici che non avevano razionali economici, quindi la borsa saliva il prezzo dei materiali saliva, oppure scendeva e non c’era una reale spiegazione razionale scientifica.

Ma c’era in realtà il fatto che pesavano nel valore e nella prosecuzione della vita civile dell’economia, fattori che erano egualmente razionali nel senso di costituenti, ma non erano razionali nel senso di perfettamente misurabili, e i valori sono quelli che leggete: speranza-opportunità-possibilità.

 Questo concetto, che detto dal professor Atkinson all’inizio del Novecento, fu cosa rivoluzionaria, è stata poi alla base di uno dei libri di economia più belli che abbia mai letto anche perché è uno dei pochi che sono riuscito a capire

Nel 2000 un grandissimo economista, Schiller ha scritto Euforia Irrazionale, per raccontare proprio che i 10 razionali che hanno mosso l’economia nell’ultimo secolo…non sono economici!

Continuiamo allora con questi tre costituenti: la speranza, l’opportunità, la possibilità

Ebbene arriviamo semplicemente per collegamento ad un altro Atkinson, il professor Barnes Atkinson, uno di quelli che hanno raccontato una visione diciamo così di servizio della società, nei suoi servizi fondamentali, nei suoi asset fondamentali e ha dipinto come asset fondamentale numero uno proprio la sanità.

E ne ha dipinto la sua universalità con un solo razionale che è l’accesso alle cure.

Ecco il collegamento alla maniera del Bersaglio, è proprio questo: i primi due sono collegati dal fatto che hanno detto la stessa cosa, l’ultimo perché si chiama Atkinson, come il penultimo.

In realtà anche giocando siamo arrivati a quello che per me per il mestiere che faccio e per le strutture sanitarie, per chi si occupa dei danni da responsabilità medica che ci saranno sempre perché sono un pezzo del rischio industriale, un pezzo del rischio operativo, il problema non è evitare che ci siano.

Il problema è risolvere il rischio quando si crea, evitare che si crei un rischio ulteriore.

 Bene allora se utilizziamo questi tre step del gioco abbiamo tre diverse   cartelli che definiscono la chance, e sono tre diverse possibilità che a me capita di vedere quasi tutti i giorni e ciascuna di queste rappresenta non una domanda, ma una soluzione!

Il primo è la chance come elemento del contratto di cura, quindi, qualsiasi terapia ha un pezzo di insondabile, ha un pezzo del razionale della terapia, che è basata in realtà su qualcosa che non so, ed è quello il rischio che stiamo correndo noi, ma sta correndo anche il paziente: stiamo correndo tutti, tutti i componenti del team e dentro il team c’è anche il paziente.

 Nel secondo caso la chance è il fondamento del contratto di cura, ovverossia, in realtà stiamo parlando di una terapia che probabilmente non risolverà un problema (che non è risolvibile) ma proviamo perché questo dà speranza: a questo punto la speranza non è uno degli elementi ma è l’oggetto di quel contratto. Questo fa la differenza.

Infine c’è una terza possibilità che potrebbe piacervi meno, ma a me piace tantissimo e cioè la chance è la soluzione per giungere alla transazione.

Ci sono casi in cui “The Measure of our ignorance” è in realtà il fatto che non sappiamo cosa fare, sappiamo che c’è qualcosa da risarcire, ma non siamo in grado di definirlo.

Nel primo caso quando la chance elemento del contratto di cura quello che dobbiamo tener presente è che pur essendo solo un elemento in realtà le aspettative che nascono quando ci si avvicina a queste Cure, sono spesso aspettative che sono instillate da chi ce le propone.

Qualche tempo fa ho letto un articolo che recitava cosi: “installato per la prima volta in Italia il tomografo progettato eccetera con applicazioni di intelligenza artificiale”.

Ora io ho studiato legge, e non ho la più pallida idea di come questo meraviglioso macchinario potrebbe migliorare le mie condizioni in caso di cura: però la sensazione che mi dà è che le miglioreranno e quindi è chiaro che in questo caso il danno che è da pagare è il danno da possibilità negata: avevo accesso forse a una cura migliore.

C’è però un secondo fatto e su questo vi prego di soffermare l’attenzione perché alle volte confondiamo una cosa con l’altra, ci sono delle cure dove la chance non è un’eventualità ma è il fondamento della cura.

A me è capitato negli ultimi tre anni di vedere un certo numero di volte un intervento che prima di allora – e faccio questo mestiere da quasi 40 anni –  non avevo mai visto in una richiesta risarcitoria: gastroduodeno pancreasectomia.

Si tratta di una terapia chirurgica talmente ampia che mi dice per forza che stiamo tentando l’impossibile…

Ma quella impossibile è la speranza, ora se noi diciamo “tanto doveva morire comunque” allora perché lo abbiamo operato?

Non è la difesa corretta perché in realtà il fondamento di quel rapporto di cura, il fondamento di quel contratto di spedalità, stava proprio nella speranza e qui sì per una volta il consenso è sostanziale perché il paziente che deve decidere se vuole accedere a questa speranza con dolore oppure se come ad esempio deciderei io vuole abbandonare…

In questo caso il fatto che sia risarcibile il danno da perdita di chance è in realtà tutto il danno che va pagato, è l’oggetto di quel contratto, è il tradimento di quell’oggetto.

Abbiamo infine una terza possibilità che vi ripeto sarà anche un po’ meno scientifica ma in realtà è una grande rivoluzione pratica.

la chance delle volte è la soluzione per giungere alla transazione, quindi della nostra citazione ciò che resta è “Ignorance”: non so come fare a risolverlo ma so che va risolto: questa è l’elisione di un rischio di un claim pendente non decidibile.

Ora la domanda è: perché tutto questo, perché dire addirittura che le cure non sono tutte uguali?

Per il semplice fatto che in Sanità non è più il medico che arriva di notte con una valigetta di pelle e chiede una bacinella di acqua calda: il medico è in realtà inserito in una struttura e questa struttura è componente di un’industria che è quella che fattura più di tutte le altre industrie, e che non a caso senza che nessun giudice abbia dovuto immaginarsi questa definizione, racconta a se stessa tutti i giorni che ciò che fa è “produzione sanitaria”.

“Produzione sanitaria” un termine che non è mio, ma della Sanità stessa.

L’altro elemento è che solo il 15% della spesa sanitaria nazionale serve a salvare vite, mentre l’altro 85% serve a fare prevenzione, o medicina del “Benessere” dove si migliorano le proprie condizioni in un concetto di salute allargato. Non possiamo più dire che quello che era l’oggetto della cura era salvare la vita (perché quando si salva la vita del paziente è molto più difficile essere tenuti responsabili). In realtà in tutti questi casi ciò che è successo è che avevo instillato io delle aspettative nel paziente, e di quelle aspettative sono responsabile sia se gliele ho installate io, sia se lui le aveva e io non gliele ho smentite…

Permettetemi, infine, di citare una sentenza recente della terza sezione civile della Cassazione, (6386/2023) il cui titolo attribuito è “delle infezioni nosocomiali” e la cui scrittura è invece un altro tema:

Il tema che viene più volte rammentato – del quale spero che la Commissione appena instaurata tenga conto- è che non c’è più tutta questa differenza tra responsabilità extracontrattuale e contrattuale, provate a vedere in questo schema che io ho scritto una decina di anni fa per i miei allievi al master, nel quale dico “quando si passa da colpa, da errore a violazione di attese legittime o meglio legittimate, il nesso non è più un fil rouge, collegamento biunivoco ma è ragionevole probabilità, e il danno verte non tanto sulla mancanza come nelle tabelle del ’65, ma molto sulla percezione di sé!

E guardiamo ora dall’altra parte e vediamo quali sono gli adempimenti dell’avvocato o di chi deve difendersi, allora vediamo che in realtà queste due responsabilità si avvicinano e si fondono in quella che io chiamo almeno per quello che riguarda l’an una coincidenza, che è basata sulle aspettative non tanto legittime, ma legittimate questo naturalmente non per quello che riguarda la medicina salvavita.

Termino, quindi, con una citazione rivolta all’organizzatrice ed agli organizzatori di questo convegno, promotori anche di questa grande circolarità di spunti e di sapere, oltre a quella citazione che vedete di seguito. E’ la citazione, di  Neil Simon, dice: “Se nella vita non ci assumessimo rischi, Michelangelo avrebbe affrescato il pavimento della Cappella Sistina”.

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