La liquidazione del danno non patrimoniale in base alle tabelle del Tribunale di Venezia

Vi propongo la relazione del dr. Roberto Simone, Presidente II Sezione del Tribunale di Venezia, svolta all’incontro di studio sul tema “Liquidazione del danno non patrimoniale e tabelle” svoltosi il 12 maggio 2023 a Venezia per iniziativa della struttura territoriale della Scuola Superiore della Magistratura per il distretto della Corte d’appello di Venezia.

Ciò rappresenta il continuo dialogo costruttivo con il medico legale ai fini di una più esaustiva e soprattutto equilibrata definizione della “componente soggettiva” del danno alla persona, nel contesto di un sistema tabellare di liquidazione che preveda un doppio binario per il danno morale.

Dott.ssa Sarah Nalin

Segretario SMLT

_______________________________________________________________

La liquidazione del danno non patrimoniale in base alle tabelle del Tribunale di Venezia[1]

Dr. Roberto Simone

I.-        Danno alla persona e tabelle: un sistema uno e trino

Per poter in qualche modo uscire da un lieve imbarazzo in grado condizionare l’esito della relazione e al tempo stesso per dare un senso al tema assegnato, che potrebbe apparire in odore di palese eresia o, quantomeno, dichiaratamente fuori dal coro, devo fare una dichiarazione di carattere preliminare per giustificare la mia presenza ed il senso del mio intervento.

È notorio che le tabelle di Milano in tema di risarcimento del danno della persona da oltre un decennio hanno una posizione dominante oscillante tra para-normatività e criterio orientativo della valutazione equitativa da parte del giudice.  Per questo motivo oggi mi trovo a rivestire i panni del terzo incomodo rispetto a Milano e ad una realtà molto spesso sottovalutata, perché non adeguatamente scrutinata, qual è la tabella romana. Infatti, nell’ambito di un ipotetico PIL italiano della responsabilità civile, come rilevato dal professor Franzoni[2], le tabelle di Venezia rappresentano una fetta del 10%. Forte di questa vocazione minoritaria, che da sempre mi appartiene, nel senso che tendenzialmente ho uno spirito contrarian, cerco, come già detto, di accreditare la mia presenza.

Il punto di svolta che ha innestato questa dominanza delle tabelle approntate dall’Osservatorio della Giustizia Civile di Milano risale a Cass. 12408/2011. Con tale sentenza la Corte attribuì alle tabelle milanesi il carattere para-normativo sulla base di una valutazione puramente quantitativa, avendo constatato che queste erano le tabelle maggiormente applicate a livello nazionale o meglio nella stragrande maggioranza dei distretti giudiziari, quindi sulla base di un argomento puramente maggioritario. Questa svolta avvenuta nel 2011 diede corpo alla trasformazione dell’equità in processo di uniformazione dall’alto, ossia qualcosa di ben diverso rispetto a quanto contenuto nell’art. 1226 c.c. da sempre ritenuto come strumento di adeguamento al caso concreto nell’ipotesi di impossibilità di determinazione del danno nel suo esatto ammontare.

Ma sempre per giustificare la mia presenza, ed in questo caso torna provvida la presenza del consigliere Scoditti, da qualche tempo le tabelle di Milano sono rigidamente sotto osservazione. Infatti, Cass. 10579/2021 (est. Scoditti), partendo dal tema del risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, ha messo a fuoco il tema del rapporto tra tabelle e 1226 c.c. e in fatto ha dato il suo imprimatur a Roma.

Ironicamente, nel commentare la pronuncia, è stata prospettata una strategia da Milano-Exit. Questa strategia si è consolidata a fine 2021 con l’ordinanza 33005 (est. Scoditti), che ha elevato alla stregua del diritto vivente la tabella milanese per quanto concerne il danno alla salute, ma, questa volta in maniera esplicita, ha ribadito l’opzione per la tabella romana per quanto concerne il danno da perdita del rapporto parentale.

Poi arriviamo ad una più nitida regolamentazione dei confini con Cass. 20292/2022 (est. Scoditti), che risale a poco meno di un anno fa, che, nel portare a compimento il ragionamento tra domanda della parte e ricorso al metodo tabellare quale strumento di concretizzazione del potere di valutazione equitativa, detta una linea di confine tra il territorio governato dalla tabella di Milano, il danno alla salute, e ciò che invece deve essere disciplinato sul piano tabellare dalla tabella romana, ossia il danno da perdita del rapporto parentale.

Nello stesso torno di tempo la Cassazione ha ribadito che non è di per sé la tabella impiegata che fa la differenza e giustifica l’esigenza di uniformazione dall’alto, ma l’eventuale discostamento non adeguatamente motivato che porta ad esiti liquidatori significativamente più bassi rispetto al modello tabellare astrattamente utilizzabile. L’annullamento di pronunce rese in sede di merito non è di per sé la conseguenza del mancato impiego delle tabelle di Milano o Roma, ma è frutto di un esito liquidatorio, il cui importo non risulti adeguatamente motivato rispetto a quanto astrattamente liquidabile a parità di condizioni rispetto a casi analoghi. La pietra di paragone, quindi, è data dalla disparità di trattamento di situazioni analoghe laddove sommariamente, se non arbitrariamente, motivata.

Arriviamo alla fine del 2022 all’ordinanza 37009 del 16 dicembre 2022, che è stata presentata dai più come la riaffermazione della centralità milanese anche sul fronte del danno parentale.  Effettivamente la Cassazione ha detto che le rinnovate tabelle dell’Osservatorio della Giustizia Civile di Milano come licenziate a giugno del 2022 sono adeguate in quanto si uniformano ai criteri indicati da Cass. 10579/2021. Però al tempo stesso la Cassazione ha precisato che il giudice applicherà le tabelle di Milano per la valutazione del danno parentale se l’attore abbia chiesto la liquidazione secondo quel parametro.

Sennonché, la Cassazione dice qualcosa in più, perché decide di non entrare nel merito del quantum liquidabile, ossia non dice che la tabella di Milano è preferibile rispetto a quella di Roma sul piano contenutistico e sull’esito liquidatorio. La Corte deliberatamente opera un self restraint lasciando la parola ai giudici del merito, ma ribadisce la centralità di un modello tabellare basato su determinate caratteristiche: estrazione del valore medio dai precedenti, modularità e indicazioni delle circostanze rilevanti. Se rispettate queste condizioni, dice la Cassazione, c’è spazio anche per chi dissente dal coro, ossia si sottrae al duopolio ed opta per una valutazione puramente equitativa, purché questa sia adeguatamente argomentata e calata nelle circostanze del caso concreto.

Chiudo questa lunga premessa di giustificazione, solo per scrollare i panni dell’extraterrestre di turno, e mi collego alla storia della tabella di Venezia nel tentativo di ricomporre un album di famiglia in cui possiamo ritrovare anche chi, purtroppo, non c’è più.

II.-      Dalla tabella del Triveneto alla tabella veneziana

La tabella veneziana che applichiamo, o meglio cerchiamo di applicare lottando contro la corrente, è figlia della tabella del Trivento, che nasce alla fine del secolo scorso nel 1999 ed è frutto di una fusione di tabelle di diversi circondari giudiziari confinanti sempre facenti parte dei distretti Veneto-Trentino/Alto Adige – Friuli-Venezia Giulia. Nello stesso arco di tempo fu varata la prima tabella milanese del 1995. Però all’insegna del tutto si trasforma, e nulla si crea, il modello di riferimento è sempre quello pisano del calcolo a punto, che a sua volta è tributario del modello francese basato su un importo crescente in funzione della percentuale di invalidità e decrescente in funzione dell’età.

La tabella veneziana, bisogna ammetterlo è meno strutturata e meno sofisticata rispetto a quella milanese perché non prevede uno sviluppo per ogni punto percentuale di invalidità ed un valore monetario per ogni anno di età, ma prevede soltanto 22 fasce di invalidità sull’asse verticale e 20 fasce di età sull’asse orizzontale.

Tuttavia, c’è un dettaglio poco appariscente, ma in qualche modo rivelatore di un approccio meno meccanicistico ed aridamente matematico. La tabella milanese fa partire immediatamente il coefficiente di abbattimento a partire dal secondo anno di età, mentre a Venezia in occasione dell’ultima edizione, abbiamo fatto un ragionamento diverso. È vero che la nascita determina l’avvio di un percorso destinato verso la morte, ossia nel lungo periodo tutti siamo destinati a finire, però il soggetto che appena nato vede un tumultuoso sviluppo del soma, ragione per cui il coefficiente di abbattimento lo si fa partire dal sesto anno di età, prosegue in modo moderatamente crescente e poi si incrementa a partire dal 56° anno di età. Si tratta di un temperamento che è stato adottato per sottrarre la liquidazione del danno alla persona ad una logica rigidamente cronologica, cercando di aderire allo sviluppo della fisiologia.

Cosa c’è all’interno di quanto liquidiamo per la lesione della salute? Il danno biologico, partendo dal ristoro del danno alla capacità lavorativa generica, è diventato un contenitore che ha assorbito la perdita della validità psico-fisica, il danno alla vita relazione, il danno estetico e la perdita della sessualità. Ma ripeto il danno biologico non è solamente il danno anatomo-funzionale ma anche relazionale di base, ragione per cui sin dagli inizi degli anni 2000 quando si diffuse l’ondata esistenzialista e la pretesa risarcitoria era a tre poste (biologico, morale ed esistenziale), l’argine opposto alla liquidazione autonoma del danno esistenziale poggiava su una argomentazione così strutturata. Siccome il danno alla salute è già inclusivo del profilo dinamico relazionale di base, per poter incrementare la liquidazione in termini numerici è necessario allegare qualcosa di più specifico, di più calzato sulla vicenda individuale e, quindi, permettere di distinguere la fattispecie portata all’attenzione del giudice rispetto a ciò che capita nella normalità dei casi a parità di menomazione.

Questa è una osservazione alquanto banale, che però ha trovato una più compiuta sistemazione nel decalogo di Cass. 7513/2018, con cui è stato cristallizzato il sistema bipolare del danno non patrimoniale in grado di racchiudere due profili dell’individuo: quello esterno e quello interno. Il danno biologico per definizione è un dinamico relazionale ed è in grado di racchiudere tutto il profilo esterno dell’individuo, sì che una personalizzazione troverà spazio a condizione di ricadute eccezionali, diverse da quanto normalmente accade in un individuo a parità di menomazione. Per contro, il profilo interno è il territorio del danno morale, che per la Cassazione è puramente spiritualizzato e come tale non governato dai medici legali.

Questa puntualizzazione fatta dalla Cassazione a dieci anni dalle sentenze delle sezioni unite offre il destro per portare in esponente una peculiarità, se non la cifra delle tabelle veneziane. Successivamente alle sentenze di San Martino del 2008, leggendole attentamente e non fermano l’attenzione soltanto sul paragrafo 4.9 dedicato alla liquidazione, abbiamo ritenuto di conservare una autonoma considerazione, autonoma dignità, del danno morale. Al contrario, in senso diametralmente opposto la scelta della tabella di Milano è stata quella di assorbire la componente morale all’interno del valore monetario del punto del danno non patrimoniale. In breve, un unico ed indistinto contenitore in nome della pretesa unitarietà del danno non patrimoniale.

Quindi fino al 2021, e poi vedremo perché, il danno morale, complice il successo arriso alle tabelle milanesi, è svanito dalla narrazione processuale, perché riassorbito nel danno alla salute da perdita della validità psico-fisica. Si è così persa per strada l’abitudine alla discussione, al confronto e alla narrazione di cosa sia il danno morale, al cui interno, ce lo ricorda Cass. 5865/2021, si collocano il turbamento d’animo, lo shock, la sofferenza interna e finanche la tristezza. Un danno puramente spiritualizzato che sarebbe sottratto al governo del medico legale.

III.      L’autonomia del danno morale

Per tornare alla tabella veneziana, l’autonoma considerazione del danno morale non vuol dire che abbiamo anche ripreso il parametro applicato in precedenza, quello che suonava come da un terzo alla metà del danno biologico. Abbiamo seguito una via diversa imperniata sul superamento della  rigida proporzione tra entità del danno morale e entità dell’invalidità permanente, privilegiando un approccio più flessibile, descrittivo e qualitativo sulla base dei cinque livelli di gravità, al fine di includere all’interno della posta “danno morale” non soltanto la componente che il medico legale può indagare proprio perché è correlata alla lesione o alla menomazione, ma anche per dare spazio, nell’ambito di una liquidazione flessibilizzata, a quell’aspetto spirituale/interno, che non è in alcun modo oggettivabile  e che diventa ingovernabile se non è supportato dalla dialettica processuale basata su allegazione e prova, anche se per via presuntiva.

Sennonché, come cercavo di spiegare prima, intorno al 2020 è cominciata una critica, sempre più serrata, nei confronti della tabella di Milano. Indichiamo subito il responsabile di tutto ciò: Cass.  25164/2020. Questa pronuncia ha frontalmente criticato l’impianto della tabella milanese proprio in relazione all’inclusione del danno morale all’interno del danno non patrimoniale ed ha evidenziato   che si può parlare di personalizzazione della componente dinamico-relazionale, a condizione che, come già diceva il decalogo del 2018, vengano in rilievo conseguenze eccezionali, straordinarie e del tutto distinte rispetto all’ordinario. Questa presa di posizione si è resa necessaria, perché la scelta (fatta in passato) di assorbire il danno morale all’interno del danno non patrimoniale, ha fatto sì che la personalizzazione fosse richiesta di default.  

Ma cosa succede quando manca la sponda del danno alla salute? Si pensi alla diffamazione, alla violazione della privacy, vicende nelle quali il danno morale, come lesione puramente interna, non priva di ricadute esterne sul piano relazione, è l’unica posta di danno risarcibile.

In queste vicende a voler fare una rigida applicazione della teoria causale del danno, abbinata al criterio differenziale, la liquidazione del danno diventa molto ardua e si comprende, come altri hanno evidenziato, come il danno non patrimoniale sia un po’ meno “conseguenza” del danno patrimoniale.

Richiamando Cass., sez. un. 16601/2007, va ricordato che la responsabilità civile non ha solo una funzione compensativa, ma ha anche una funzione sanzionatoria-deterrente: la possibilità di accordare un risarcimento del danno non patrimoniale può costituire un deterrente adeguato rispetto al potenziale danneggiante, che può essere anche un danneggiante seriale.

Se è vera la premessa, l’articolo 2059 c.c. e lì da ottant’anni a ricordarci la vocazione potenzialmente sanzionatoria della responsabilità civile, quando dobbiamo risarcire la lesione di beni della persona inviolabili, sempre che la lesione sia grave ed il danno sia serio. L’essere il danno morale un pregiudizio puramente interno, lo rende incommensurabile oggettivamente, ma non irrisarcibile (a meno non si segua la teoria dell’assicurazione, nessuno si assicura per le sofferenze)

Per uscire dall’impasse la responsabilità civile deve guardare anche il danneggiante. Esistono al riguardo diversi indici normativi: la legge sulla tutela dell’ambiente del 1986, l’articolo 158 della legge 633/41, l’articolo 125 del codice della proprietà industriale, fino alla legge del 2006 sulla pubblicazione di intercettazioni abusive; le norme in materia di discriminazioni.

Ecco, se noi volgiamo l’attenzione al lato del danneggiante, forse riusciamo a trovare una risposta alla domanda: è possibile trovare di criteri di misurazione delle conseguenze non patrimoniali interne dell’individuo? A causa della diffamazione, quanto ha sofferto il singolo? È stato espulso dal circolo del tennis, è stato, come dire, messo all’indice a seguito di una lettera scarlatta che gli è stata apposta dal giornale locale e via di seguito…Ecco, se noi, viceversa, guardiamo alla rilevanza in sé della notizia all’interno del giornale, dell’edizione del singolo quotidiano, se noi guardiamo alla diffusione della pubblicazione, al bacino di utenza, a quanti lettori potenzialmente può raggiungere, ecco, noi possiamo avere una risposta alla domanda risarcitoria.

IV.      Il danno da perdita del rapporto parentale in prospettiva

Cerco di agganciare qualche considerazione in ordine al danno da perdita del rapporto parentale in una prospettiva diversa rispetto al consueto. Cass. 10579/2021 ha delineato i limiti del modello milanese e ha individuato le caratteristiche della tabella ideale sulla base di un complesso, articolatissimo e dottissimo ragionamento di riscrittura del rapporto tra clausola generale e fattispecie normativa e vede all’interno di questo processo il giudice chiamato a dare attuazione alla prima.

In estrema sintesi, ed a colpi di semplificazione estrema, la tabella del risarcimento del danno del rapporto parentale deve basarsi su tre pilastri:

  1. estrazione del valore medio dei precedenti,
  2. modularità o modulabilità,
  3. elencazione delle circostanze rilevanti quindi l’età della vittima, l’età del sopravvissuto convivenza non convivenza presenza di altri di altri familiari

Lo scenario, ripeto, già all’epoca era fortemente divaricato tra Roma e Milano. La prima era basata su un sistema tabellare a punti con un valore di base di euro 9.806,70; su questo valore di base applica una serie di coefficienti moltiplicatori legati a: rapporto di parentela; età della vittima, età del congiunto e più altri correttivi con una possibile maggiorazione in assenza di altri conviventi. Milano applicava un sistema basato su un range di valori (minimo-massimo) riferito al tipo di relazione incisa dall’evento luttuoso: perdita del coniuge, del figlio, dei genitori, dei fratelli, del nipote da parte del nonno (e non viceversa cosa, che invece Roma considera). Il sistema è stato riscritto nel 2022 virando verso un sistema a punti, ma con il cap dei valori pecuniari precedenti.

Venezia era sostanzialmente in linea con il modello milanese anche se pecuniariamente più vantaggiosa, più concorrenziale e con la variante rappresentata dal genitore single, assumendo che la sofferenza del genitore singolo (per scelta o vedovanza) per le ragioni intuitive è maggiore rispetto al soggetto che perde un figlio, ma ha il sollievo della presenza di altri figli o comunque del marito o il compagno come più ci piace.

La Cassazione dice: attenzione la tabella perché non diventi un mero costrutto discrezionale se non arbitrario, deve seguire un percorso argomentativo che si muova sui tre pilastri indicati. All’interno del danno da perdita del rapporto parentale sono conglobate due poste diverse (la sofferenza morale e la perdita relazionale), che sono due entità, due fenomenologie, sostanzialmente diverse. Per queste due componenti è assai arduo, se non impossibile, individuare sulla base dei precedenti un valore pecuniario di base, che rifletta queste due componenti. A meno che, come si è fatto a Milano, non ci si muova a livello di mera ricognizione di quanto già fatto. Ricognizione, tuttavia, limitata alla mera considerazione dei valori massimi tabellari per le due tipologie di rapporto prese in esame.

Allora la nostra proposta, ne abbiamo discusso anche all’interno di svariate riunioni sezionali come II sezione civile e ne abbiamo scritto su una rivista giuridica[3], è quella di rifondare il sistema tabellare sulla base di due distinte tabelle atte a fotografare la componente sofferenza distinguendola dalla componente relazione.

Questo perché, se noi pensiamo di poter liquidare il danno da perdita del rapporto parentale secondo un meccanismo tabellare esattamente sovrapponibile a quello seguito per il danno da perdita della salute, rischiamo di cronicizzare un danno, che in realtà non può che essere temporaneo: il danno da sofferenza. Il danno da perdita del congiunto non può protrarsi per tutta la vita del danneggiato al pari del danno alla salute, ma necessariamente deve essere temporaneo, perché altrimenti diventa un lutto patologico, scadiamo in un ambito totalmente diverso e quindi bisognerebbe seguire il percorso tabellare che è quello tipico del danno biologico psichico.

A modello tabellare invariato, si rischia di pervenire a volte ad esiti di aggiudicazione della lite fortemente ingiusti. È vero che prevedibilità e uniformità sono la stella polare, però c’è anche una esigenza di fondo di giustizia dell’esito del giudizio, ossia di adeguatezza dell’esito del giudizio alla specificità del caso concreto.

Allora per marcare questa anomalia del sistema mi collego all’ipotesi appunto del danno da lutto. Il lutto fisiologico dovrebbe essere, se non smentito dai medici legali, dovrebbe durare sei mesi, mentre quello patologico va dai 12 ai 18 mesi. La TUN (Tabella Unica Nazionale) che è rimasta una mera enunciazione nel 2021 indica per un lutto complicato un danno psichico nella misura del 35%.

Tabella di Milano alla mano aggiornata al 2021, prendendo a riferimento una giovane signora che perde il compagno o il marito si vedrebbe liquidare euro 210.185 euro di cui euro 140.000 come danno dinamico/relazionale, ed euro 70.062 come danno morale. Con l’incremento per la personalizzazione arriveremmo a euro 262.000. L’alternativa sul fronte parentale, tabella milanese alla mano, è di euro 336.500.

Ora è evidente che nessuno negherebbe alla giovane vedova il massimo tabellare e forse liquiderebbe anche qualcosa in più. Ciò giustifica una strategia processuale che porta a non reclamare il danno da lutto patologico, ma quello da perdita del rapporto parentale perché l’esito liquidatorio sicuramente è più che proporzionale e più che soddisfacente.

Lo abbiamo imparato anche dalla pandemia, dal 2020 è tutto un richiamo al concetto di resilienza. Il lutto è un vortice tremendo da cui poi dobbiamo uscirne, quindi non possiamo considerarlo come un danno permanente, ma rischiamo di trasformarlo come tale.

Quindi la nostra idea è quella di creare una tabella per quanto concerne la componente sofferenziale che sia ugualmente costruita con l’asse verticale riportante diversi livelli crescenti di gravità e un asse orizzontale con valori monetari decrescenti in relazione all’età. Tale tabella si ancora al valore tabellare massimo di 150 euro al giorno che è quello tipico dell’invalidità temporanea. È una opportunità, un indice, in assenza di meglio possiamo utilizzare questo.

Se noi quindi prendiamo un arco di tempo di 4 anni entro il quale la sofferenza si riassorbe, ecco che arriviamo a un valore diciamo massimo di 140 mila euro per la posta di danno in esame. Lo sviluppo della tabella vede 5 livelli: lieve, moderato, marcato, severo  e gravissimo.

Questo per quanto concerne la voce danno morale. È comprensibile che questa proposta appaia di difficile governo e poco appagante, sul piano dell’esito liquidatorio, rispetto al modello in uso.

Però ripeto dovendo dare un esito compiuto e all’indicazione che ci viene nella pronuncia del 2021 questa è una soluzione percorribile o, quantomeno, serve ad uscire dal vago e da attività istruttorie molto evanescenti. Qual è l’aspetto più complesso da investigare? Sicuramente quello relazionale.

Cass. 28989/2019 ha ribadito che la componente relazionale presuppone la allegazione di fondamentali e radicali cambiamenti nello stile di vita che l’attore deve allegare, provare anche per via presuntiva.  Quindi qualcosa sicuramente di più sofisticato anche dal punto di vista scientifico rispetto alla consueta narrazione processuale delle frequentazioni domiciliari della partecipazione agli eventi familiari, le vacanze di natalizie ed estive.  Ci vuole qualcosa di più significativo che abbia concretamente eroso la dimensione relazionale. Per fare questo non basta la fantasia degli avvocati o lo spirito creativo della giurisprudenza.

Ci vuole forse un supporto consulenziale, un parere esperto in grado di misurare l’incidenza subita nella relazionale. Quindi, alla pari di quanto accade con il danno alla salute, il medico legale applica i suoi barémes, che misurano la percentuale di invalidità permanente e poi noi applichiamo il dato monetario e arriviamo al quantum.

Analogamente in questa vicenda, per quanto concerne i profili dinamico-relazionali, potremmo utilizzare una scala che misuri l’incidenza effettiva, non meramente soggettivamente attendibile, sul profilo relazionale e abbinare a questa percentuale determinata sulla di una scala definita Svarp (scala valutativa attività relazionale della persona).

A questo dato percentuale si può collegare un valore monetario che prendiamo dalle tabelle per la liquidazione del danno alla salute, i cui valori pecuniari non sono rigidamente parametrati al crescere delle invalidità permanente, ma sono più che proporzionali, non sono una mera sommatoria nel passaggio dall’1% al 100%, c’è un aumento più che proporzionale che in qualche modo intercetta la componente relazionale presente nel danno del danno biologico

In qualche maniera è possibile costruire una tabella basata su un asse verticale con il livello di gravità della menomazione ed uno orizzontale di tipo decrescente in funzione dell’età. Sicuramente, dal punto di vista pecuniario riusciremo ad avere una risposta meno allettante rispetto all’esistente, ma in grado di fotografare, in assenza di meglio, la fenomenologia dei danni portati in giudizio.

Dico in assenza di meglio poiché il danno da perdita di un rapporto parentale è il miglior surrogato alternativo rispetto a quello che dovrebbe essere il danno risarcibile in ipotesi di perdita di un congiunto, cioè un danno da perdita della vita, ma questa diciamo è una partita non dico chiusa ma sicuramente al momento ferma dopo Cass., sez. un., 15350/2015.

Ovviamente questo passaggio non possiamo farlo in modo autoritario sulla base della mera iniziativa del giudice. Ci vuole un confronto tra il tribunale, Foro e consulenti tecnici per sviluppare questa comune nuova cultura del danno da perdita del rapporto parentale declinato su questi due diversi versanti, diversamente il rischio è quello di fare tanti bei monologhi e il prodotto difettoso generato dal tribunale inevitabilmente finisce davanti alla Corte di appello con intuibile viva disapprovazione di quest’ultima.


[1] Relazione svolta all’incontro di studio sul tema “Liquidazione del danno non patrimoniale e tabelle” svoltosi il 12 maggio 2023 a Venezia per iniziativa della struttura territoriale della Scuola Superiore della Magistratura per il distretto della Corte d’appello di Venezia.

[2] M. FRANZONI, Il pil della responsabilità civile, in Danno e resp., 2020, 681.

[3] R. PARDOLESI – R. SIMONE, Doppia dimensione del danno da perdita del rapporto parentale: una proposta pratica, in Danno e responsabilità, 2022, 23 ss.; ID., Guerre tabellari: Milano colpisce ancora?, ibid., 2022, 536 ss.

Rimani aggiornato sulle ultime novità dell'associazione

Inserisci il tuo indirizzo mail per rimanere aggiornato sulle ultime novità riguardanti la Società Medico Legale del Triveneto.

Se ti è piaciuto l'articolo, condividilo sui social!

Learn how we helped 100 top brands gain success

Cookie Policy Privacy Policy