IL RECUPERO DELLA COMPETENZA: un NON commento alla Sentenza della Cassazione Civile del 28.03.2024, N. 8429

Si propone di seguito un commento del Dr. Flaviano Antenucci, Hospital Risk Manager, uno dei Referenti Culturali della SMLT, alla sentenza del 28.03.2024 della Suprema Corte.
La sentenza sancisce il principio che non c’è nesso fra infezione (epatite da virus HCV) da emotrasfusione effettuata durante un intervento chirurgico reso necessario dalle lesioni del precedente sinistro e la condotta colposa in violazione delle regole della circolazione stradale che ha cagionato le lesioni.
Buona lettura

Dott.ssa Sarah Nalin
Segretario SMLT


Non è la prima volta che mi capita di dover commentare una sentenza che non necessiterebbe certo di chiose in una rivista giuridica.

La tecnicità ma anche la lineare chiarezza del tema – tutto processuale – descritto in termini brevi, perfettamente conseguenti e molto logici renderebbero inutile ogni commento giuridico: la pronuncia è autoesplicativa. Ma qui arriva il punto: chi mi chiede il commento è persona intellettualmente lucida, ma versata su altro fronte, che è quello medico legale, ed altro fronte è anche il luogo sul quale probabilmente queste righe si affacceranno. Per l’appunto, un luogo in cui si parla di medicina legale.

Il tema allora diventa interessante, e non per l’argomento della sentenza, che, se volessimo riassumere in una battuta, dice semplicemente che la risposta si ottiene in ragione della domanda che si pone, e quindi se diversa è la domanda, diversa sarà anche la risposta. Diventa interessante perché permette di fare qualche considerazione sul ruolo della medicina legale nell’ambito della responsabilità civile sanitaria e professionale medica.

Forse una preziosa occasione per rimettere ogni pezzo del puzzle nel suo giusto posto, perché se si vuole ricomporre l’immagine non basta che i pezzi si ritrovino sul medesimo tavolo, ma occorre anche che ciascuno trovi la posizione e l’orientamento giusti! Altrimenti basterebbe prendere il sacchetto con tutti i pezzi e rovesciarlo così com’è, sul tavolo, per ottenere la soluzione!

Se bastasse far ritrovare tutti i pezzi necessari sullo stesso tavolo, ci ritroveremo sicuramente un caos e non un’immagine, uno zibaldone nel quale ciascuno proverà con disagio a giustificare la sua posizione (sbagliata) all’interno dell’immagine.

Come se un Magistrato si improvvisasse senza aiuto alcuno a discettare di infettivologia, o di ricorrenza dell’HCV, interpretando autonomamente testi specialistici sull’argomento, e magari anche sviluppando autonome ed originali teorie in campo biologico e medico, finendo probabilmente a farsi idee dai titoli più che dallo sviluppo dei dati clinico-biologici. Come se un medico legale ricorresse al precedente giurisprudenziale per titoli suggestivi, a rischio di perdersi il contenuto: magari chiamando “sentenza sulla responsabilità d’equipe” l’arresto di Cassazione che individua i motivi (giuridici) per i quali nessun sanitario va esente da responsabilità se prova di aver adempiuto “il suo pezzettino” e basta. Magari chiamando “sentenza sul danno esistenziale” l’arresto che chiarì come (in diritto) nessuna tabella potesse esimere il Giudicante dal valutare la prova di una sofferenza maggiore e “sproporzionata” rispetto alla sola lesione (chiarendo peraltro che molti di questi gravitano intorno alle lesioni che modificano in pejus la “percezione di sé”). E via di questo passo!

Ed eccoci, allora, al tema di questo “non commento”: il motivo per il quale questa pronuncia di “responsabilità medica” risulta un po’ ostica per un medico legale è perché…non tratta di medicina legale! La responsabilità civile è (come quella penale del resto) un tema di diritto e non di tecnica: se fosse un tema solo tecnico, probabilmente la sede giusta sarebbe una camera di conciliazione, o un arbitrato, o ancora meglio un tema da giurisdizione speciale, un po’ come il “Tribunal du commerce” francese: commercianti che giudicano commercianti!

E quindi sì: capita che una pronuncia di responsabilità medica non verta su argomenti medici, e che addirittura – come in questo caso – trascenda da ogni argomentazione medica che si trova molto più lontana che sullo sfondo. Per la precisione, statisticamente capita nel 100 per cento dei casi!

Non in maniera così evidente come in questo caso, ma la regola è che in un giudizio di responsabilità, la responsabilità venga giudicata in base al diritto, e non in base alla medicina…

Se qualche lettore a questo punto si trovasse contrariato o spaesato, potendo lo pregherei di pazientare ancora pochissime righe: quanto appena enunciato non toglie assolutamente importanza al ruolo che il depositario del sapere tecnico in qualsiasi giudizio ha e ha diritto di avere.

Il ruolo del tecnico, quello dell’ausiliario del Giudicante, quello del consulente è centrale, spesso irrinunciabile, molte volte fondamentale, ma la condizione affinchè questa centralità funzioni è che questo si trovi sulla tavola della responsabilità nel luogo giusto e nel giusto orientamento, come in un puzzle!

E come in un puzzle, l’immagine si ricomporrà solamente se ciascuno occuperà il suo giusto spazio: quello del consulente è lo spazio del sapere specialistico, e non quello della decisione della responsabilità. Così come è quello della sistematizzazione delle informazioni obiettive all’interno dell’operazione di valutazione (se si parla di quantum) e non quello di stabilire “quanto” valga.

La pronuncia che avrei dovuto commentare dice questo: indipendentemente dalle informazioni mediche (la trasfusione come rischio di infezione) e dai “titoli” dei precedenti della Corte (concorso di cause in rapporto all’anormalità o meno del fatto successivo), giudicare il ricorso significava giudicare la domanda per come era stata posta “in diritto”, non “in medicina”.

Mi torna alla mente una splendida battuta di Einstein sul rapporto tra “teoria” e “pratica” che io parafraserei per il rapporto “diritto” e “medicina legale”: “La teoria è quando si sa tutto ma non funziona niente. La pratica è quando funziona tutto ma non si sa il perché. Troppo spesso coniughiamo la teoria alla pratica, in modo che non funzioni più nulla, e nemmeno si sa il perché!

Aveva ragione.

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