Di Sarah Nalin – Segretario SMLT
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La pubblicazione sul sito della SIMLA, preziosa costante fonte di aggiornamento, di alcune sentenze sull’argomento, di conclusione opposta una dall’altra, suscita il desiderio di nuovamente approfondire la problematica.
Propongo alcune riflessioni ripercorrendo alcune pronunce.
Sull’argomento già si sono espresse voci medico-legali. La presenza peraltro di sentenze di conclusioni opposte sta a significare che chiarezza sul punto non c’è e questo fa ritenere opportuno un ulteriore approfondimento e delle ulteriori considerazioni.
Vi è in primo luogo la sentenza del Tribunale di Torino del 18 gennaio 2022 che sposando il contenuto della consulenza d’ufficio disposta e basandosi così sulle premesse che l’infezione virale avesse caratteristiche di fortuità, di esteriorità e di concentrazione cronologica nel contagio (violenza della causa) ammette che la patologia rientri nella definizione di infortunio. Basandosi sull’affermazione che la costante dottrina in tal senso si esprime e richiamandosi alle considerazioni esposte dal Prof. Riccardo Zoia in un articolo comparso su Ridare.
Dalla sentenza :”… nel contesto di una Polizza Infortuni vige tuttora l’equiparazione tecnica medico-legale di “causa virulenta” con “causa violenta” e che l’argomento oggetto di valutazione è se una infezione acutamente contratta – virulenta come quella da SARS-CoV-2 – rientri negli eventi indennizzabili nella consapevolezza che l’indennizzabilità deriva dalla combinata interazione del “fatto” e della “conseguenza”, qualora ovviamente quest’ultima soggiaccia alla regola causale diretta ed esclusiva”.
Di tenore analogo la sentenza 693-21 del Tribunale di Vercelli del 3.8.2022.
Vi sono però altre sentenze di tenore opposto.
Nella sentenza del Tribunale di Pesaro, RG N 436/2021 del 11-6-2021 del Giudice Mari:
“Nel comune sentire sociale il Covid-19 è considerato una malattia. Normalmente il Covid-19 è qualificato come la malattia prodotta dal Corona Virus Sars-Cov-2. Il Covid-19, in sé, non è dunque un infortunio, ma una malattia (che può risolversi con sintomi lievi, ma può portare anche alla morte). Anche la medicina qualifica il Covid-19 come la malattia associata al virus Corona Virus Sars-Cov-2.”
E ancora in tale sentenza: “Nel caso di specie non può sostenersi che la contrazione del virus sia avvenuta in circostanze tali da configurare un infortunio. Non risulta che ci sia stato un fatto traumatico, violento ed esterno – nel senso inteso ai termini di polizza, corrispondente alla concezione di “infortunio” comunemente intesa – in occasione del quale il dott. ——- abbia contratto il virus. Diversamente ragionando, se il fatto del contagio fosse già di per sé qualificabile come infortunio – anche in assenza di un quid pluris dato dalle circostanze traumatiche in cui si è verificata la contrazione del virus – si perverrebbe alla conclusione che la contrazione di qualunque malattia virale in qualunque circostanza, costituisca un infortunio rientrante nel rischio coperto dalla polizza-infortuni. Il che sarebbe una forzatura rispetto all’oggetto del contratto”.
In tale sentenza il Giudice non considera la dizione presente nel contratto e quindi non si investe del quesito se una infezione da SARS-Co-2 rientri nella definizione di infortunio, ma argomenta sul fatto che una malattia virale non rientrerebbe nell’ottica del comune sentire nella definizione di infortunio. Considerazioni di tipo giuridico quindi, di altra competenza (però in verità il ricorso al comune sentire sarebbe giustificato solo quando il contratto non è interpretabile nel contenuto letterale). Nelle successive considerazioni la sentenza motiva che il contatto organismo umano- virus non rientra nella definizione di infortunio (evento da causa fortuita violenta ed esterna) perché non è individuato fatto traumatico di tipo meccanico; affermazione che dottrina medico-legale e giurisprudenza ampiamente smentisce come di seguito si argomenterà. Cioè se giuridica è la posizione sul comune sentire, non si può condividere l’affermazione che la causa di infortunio per essere violenta deve essere meccanica poiché è un’affermazione ampiamente in contrasto con dottrina medico-legale e giurisprudenza, anche di Cassazione, fin dai primi anni del ‘900.
L’altra sentenza negativa al riguardo esaminata è del Tribunale di Roma (R.G. 5947/2021 del 30 gennaio 2022, Giudice Parziale) e le argomentazioni sono le seguenti: “Si deve, quindi, escludere che possa rientrare nel concetto di infortunio la malattia infettiva contratta causalmente, difettando nel meccanismo infettivo il presupposto dell’infortunio, vale a dire la causa del sinistro che deve contemporaneamente fortuita, violenta ed esterna. In altre parole ciò che contraddistingue l’infortunio è la causa violenta che nel meccanismo operativo della infezione da virus non ricorre a meno che non sia provato che il contatto con il virus si sia verificato per effetto della causa violenta, circostanza che nel caso di specie non è stata neppure adombrata”. In questa sentenza il Magistrato entra nella definizione di infortunio ma anche qui si interpreta la violenza come un fatto meccanico, e come sopra è una considerazione in contrasto con costante dottrina medico-legale relativamente al concetto di causa violenta.
Altra sentenza è del Tribunale di Pescara (R.G. 3082/2021 del 22-3-2022, Giudice Ria) e recita: “La maggiore criticità di tale interpretazione è che essa consentirebbe tuttavia di estendere la nozione di infortunio a qualsiasi tipo di infezione, valicando la distinzione invalsa nella pratica assicurativa. Il discrimine tra le infezioni che rientrerebbero nel concetto di infortunio e quelle che rimarrebbero escluse sulla base del suddetto ragionamento, perlomeno nell’ambito delle assicurazioni private, pare labile e arbitrario; è ben chiaro che il livello pandemico raggiunto all’infezione Covid-19 abbia portato a maggiori ponderazioni in ordine alla copertura delle polizze assicurative, ma tali riflessioni, pur supportate da certa letteratura scientifica, non possono ricadere sulle compagnie assicurative, quali “controparti” di rapporti privatistici formatisi sulla scorta di testi ed interpretazioni consolidati” .
Come di seguito si andrà a spiegare sulla scorta di “testi ed interpretazioni consolidati” si dovrebbe raggiungere invece ad un’affermazione opposta.
Diviene, quindi, necessario porsi il quesito sul significato di causa fortuita violenta ed esterna.
Il significato del termine causa violenta è frutto di un’interpretazione del dettato della primigenia legge infortuni sul lavoro (R. Decreto 29 luglio 1889, art.7), espressa dalla dottrina in un contraddittorio culturale realizzatosi a cavallo della fine dell’Ottocento e dei primi anni del ‘900. Nella definizione di infortunio sul lavoro, nel primo dettato di legge mantenuto nella sua sostanza nei successivi fino ai giorni nostri, si legge “l’assicurazione deve essere fatta a cura e spese del campo o dell’esercente dell’impresa, industria o costruzione per tutti i casi di morte o lesioni personali provenienti da infortunio che avvenga per causa violenta in occasione di lavoro, le cui conseguenze abbiano una durata maggiore di cinque giorni…”
Diviene a questo punto utile considerare quanto all’epoca si discusse e si scrisse, analizzando il contenuto della Trattato di Medicina Legale del Prof. Lorenzo Borri[1], editore Vallardi, del 1922, nonché la sua precedente monografia.
“Gli infortuni del lavoro sotto il profilo medico legale” del 1910, Società Editrice Lombarda di Milano ed., Monografia che in sostanza descrive le conclusioni interpretative cui si giunse all’epoca, in dottrina e giurisprudenza, e che di fatto rimasero costanti nella medicina legale relativamente al concetto di causa violenta, da allora ad oggi.
Ancora, nel trattato di medicina legale del 1922 il Leocini, incaricato di affrontare la problematica, scriveva nel capitolo relativo alla causa violenta, ampiamente citando gli scritti precedenti del Borri e l’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale sull’argomento: “in tutta la legislazione relativa agli infortuni non credo via sia stata questione, che maggiormente abbia appassionato e che sia stata più vivamente discussa, della interpretazione da darsi alla espressione di causa violenta, usata per la prima volta, senza alcun chiarimento, dall’articolo 7 della legge 17/3/1898, mantenuta nell’articolo 7 della legge testo unico del 31/1/1904 e trasportata tale e quale nell’articolo 3 della legge 23/8/1917”. Rimandando a quanto si può leggere dalle pagine 339 in poi del citato Trattato, si ritiene di riportare alcuni passi salienti.
Si legge a pagina 340: “il considerare violenta una azione solo per i suoi caratteri formali sarebbe stato dare al concetto di violenza un valore empirico. In realtà la violenza di una azione non dalla forma deriva, ma dalla sostanza, dalla capacità vale a dire di determinare in modo brusco effetti gravi. Ora siffatta capacità si riscontra anche in azioni che nella loro manifestazione esteriore non hanno nulla di grandioso, di grossolano, di brutale, tanto che talvolta sfugge persino il momento in cui esse investono l’organismo. Un tossico… Un virus che superate le difese poste la natura alla superficie di contatto del corpo con l’ambiente suscita imponenti fenomeni morbosi sono evidentemente agenti lesivi altrettanto, se non più, violenti di un trauma che discontinua i nostri tessuti…”.
E ancora: “occorre qui chiarire un particolare, che altrimenti potrebbe dar luogo ad equivoci. Quando parliamo di – istantaneità – o di – rapidità – di azione intendiamo riferirsi alle modalità dell’incontro della causa lesiva con l’organismo, non già alle modificazioni che questa causa induce nell’organismo medesimo e che possono avere lenta evoluzione.”.
Riporto ulteriori affermazioni tratte dal medesimo Trattato di Medicina Legale, che compaiono anche sulle monografie precedenti del Prof. Borri relative a questa materia.
L’autore cita in particolare a pagina 321 la giurisprudenza germanica, tenuto ben conto che la primigenia della legislazione sugli infortuni del lavoro è germanica, ad opera di Bismarck.
[L’Ufficio delle assicurazioni del Reich (RVA) era l’autorità suprema di supervisione e aggiudicazione per la sicurezza sociale nel Reich tedesco. Esisteva dal 1884 al 1945 e svolgeva funzioni esecutive e giudiziarie; in alcune aree aveva anche poteri legislativi limitati. La sede era inizialmente a Berlino-Tiergarten, presto a Berlino-Mitte, Wilhelmplatz, in seguito l’ufficio ricevette un nuovo edificio sull'(odierno) canale Landwehr. L’istituzione della RVA era dovuta alla legge sull’assicurazione contro gli infortuni del 6 luglio 1884, pubblicata nel 1885.]
La citazione è la seguente: “vi è presunzione dell’avvenimento di un infortunio, quando un individuo risente un danno della persona, sia per l’effetto di lesioni esterne, sia a motivo della insorgenza di una malattia organica, si questa che quelle derivanti da un evento repentino, vale a dire cronologicamente definibile, che cioè sia stato in atto e si esplichi entro limiti di tempo relativamente brevi e che mediante le sue conseguenze (che talvolta possono avere manifestazione lenta e progressiva) abbia determinato una lesione personale, ossia invero la morte”.
Si legge altresì a pagina 322: “sono elementi essenziali quelli che formano la vera ossatura della nuova figura giuridica creata da queste leggi… Essi costituiscono gli estremi che inquadrano infortunio del lavoro che devono ricorrere in ogni caso denominabile come tale… Questi elementi essenziali stando alla lettera della legge sono precisamente quattro e cioè 1) l’infortunio, 2) la causa violenta, 3) l’occasione di lavoro 4) il danno alla persona”.
Ricordo, per anticipare poi il nocciolo di questa argomentazione, che tra la legge INAIL degli infortuni sul lavoro e una polizza infortuni vi sono dal punto di vista tecnico sostanzialmente due differenze, per quanto attiene alla materia di cui parlo. Esse sono 1- l’occasione di lavoro che è tipica degli infortuni sul lavoro mentre nelle polizze infortuni il più frequentemente si considerano sia infortuni professionali che extra professionali, e 2-, di rilievo, la disciplina delle concause. Concause che negli infortuni sul lavoro seguono la regola generale della causalità mentre nelle polizze infortuni trovano una limitazione nel cosiddetto articolo sui criteri di indennizzabilità, che con qualche variazione tra polizza e polizza e qualche evoluzione anche recente comunque si sostanzia nell’escludere dall’indennizzabilità quanto dovuto a stato anteriore patologico. Il dettato più frequente nei contratti è di ammettere all’indennizzabilità le conseguenze dirette ed esclusive dell’infortunio, indipendenti da condizioni fisiche o patologiche preesistenti o sopravvenute.
Per il resto l’inquadramento del concetto di infortunio è il medesimo e non vi sono nelle polizze private precisazioni o distinguo nelle condizioni generali di polizza relativamente al concetto di causa violenta causa violenta.
Per quanto riguarda la problematica Covid-19 polizza infortuni ritengo non ci sia discussione sul fatto che il virus sia una causa esterna. Non penso si debba perdere del tempo per discuterne e anzi ogni discussione sul punto dovrebbe ritenersi solamente strumentale.
Si può argomentare sulla fortuitàdella causa.
Per quanto riguarda la fortuità riporto quanto si legge nel Trattato del 1922 a pagina 323 “di incontro accidentale della causa lesiva con la persona passiva della lesione è quanto dire che l’incontro costituisce una aleatorietà, non una necessità ineluttabile, che avrebbe quindi potuto non avvenire.… Parlare dell’incontro accidentale della causa lesiva con la persona che resta offesa equivale pure a dire che l’incontro è avvenuto inopinatamente, inaspettatamente. Esso non è stato voluto dal leso ed è giunto per lui inaspettato. E se giunge inaspettato segno è che non è stato previsto. A proposito di previsione può darsi che un caso non sia stato previsto perché non era assolutamente prevedibile, ma può anche darsi non sia stato previsto… Vi sono degli infortuni inevitabili in quanto non possono in alcun modo essere preveduti. Ma questa imprevedibilità non va intesa in senso assoluto; non vi sono modalità di infortuni che ormai non si sappia poter avvenire e il dovere anzi avvenire con una frequenza maggiore o minore quasi fossero sottoposti a regole fatali.… Se non che, mentre prevedibile in linea astratta la ricorrenza di un dato evento lesivo, resta imprevedibile l’evento impersonato di un dato individuo. Si può prevedere che la causa lesiva potrà colpire ma non si può prevedere chi colpirà, quando, come colpire. L’imprevedibilità esiste dunque, ma relativamente al caso singolo, al tempo, al luogo, alle circostanze e alla persona che dall’ infortunio è colpita.… Questi eventi corrispondono al concetto puro, astratto di infortunio…”.
Venendo al problema del SARS-COV-2, è chiaro che il rischio di contrarre l’infezione era (ed è) presente e diffuso ma nel caso pratico, del singolo, il realizzarsi del contagio è comunque fortuito perché non è tassativo entrare in contatto con il contagiante ed è analogamente non tassativo che dal contatto derivi il contagio.
Quindi esiste la fortuità certamente.
E’ così chiaramente definita dalla letteratura dell’epoca e quindi stabilita nella originale interpretazione del concetto, la teorica evitabilità del contatto con l’agente lesivo, che costituisce la natura fortuita dell’infortunio, al di là che si tratti di contatto di rischio elevato.
Con il passare degli anni si è dimenticato in parte questo argomentare (alla luce di una precisa esclusione presente nelle polizze relativamente alle infezioni) e si è giunti a ritenere nella pratica che infortuni in polizza fossero quelli che venivano indennizzati, e non le infezioni, dimenticando che la non indennizzabilità derivava dalla presenza di una esclusione “ad hoc”.
Dimenticando però i concetti iniziali necessariamente si compiono degli errori, dando per scontato ciò che scontato non è.
Ritorno a citare le argomentazioni dell’epoca, ora su tale aspetto della causa violenta. E’ infatti nel parlare di causa violenta che l’autore fornisce delle indicazioni del tutto illuminanti su quale fosse ed è conseguentemente oggi l’interpretazione del concetto di causa violenta.
Che la definizione abbia avuto bisogno a suo tempo di un’interpretazione si deduce dalle discussioni all’epoca intervenute. Scrive ancora il Leoncini sempre nel Trattato del 1922: “in tutta la legislazione relativa all’infortuni non credo vi sia stata questione che maggiormente abbia appassionato e che sia stata più lungamente discussa della interpretazione da darsi alla espressione di causa violenta usata per la prima volta, senza alcun chiarimento dell’articolo sette della legge 17/3/1898”.
Ad un iniziale interpretazione alcune fonti sostenevano che questa violenza si realizzasse soltanto in azioni aventi in sé gli estremi di quella che volgarmente nel parlare comune si designa come violenza, cioè una violenza meccanica. Causa violenta sarebbe stato in altri termini sinonimo di causa traumatica meccanica.
Tale interpretazione è stata peraltro in quegli anni infine cassata.
L’autore scrive: “… considerare violenta un’azione solo per i suoi caratteri formali sarebbe stato dare al concetto di violenza un valore empirico. In realtà la violenza di una azione non dalla forma deriva, ma dalla sostanza, dalla capacità vale a dire di determinare in modo brusco effetti gravi. Ora siffatta capacità si riscontra anche in azioni che nella loro manifestazione esteriore non hanno nulla di grandioso, di grossolano, di tale, tanto che talvolta sfugge persino il momento in cui esse investono l’organismo. Un tossico che penetrando nell’organismo di una quantità minima la dose di pochi milligrammi e capaci di determinare la morte; un virus che, superate le difese poste dalla natura ….suscita imponenti fenomeni morbosi sono evidentemente agenti lesivi altrettanto, se non più, di un trauma che discontinua o altera i nostri tessuti; eppure l’avvenimento per cui il tossico, o il virus giungono ad esplicare l’erogazione dell’organismo non ha nulla di grossolanamente eiettivo, nulla di violento nel significato volgare di tale aggettivo. Sarebbe stato illogico che la legge avesse tenuto conto, nella valutazione dei fatti, delle loro apparenze, non curandosi della vera sostanza”.
Quindi in definitiva all’epoca si giunge infine a identificare la violenza nella repentinità del contatto con l’agente lesivo e nell’assenza di una sua dilatazione temporale, che invece contraddistingue le malattie professionali.
Per citare ancora Borri: “La causa violenta è da riconoscersi in qualunque quid energetico essenzialmente idoneo a turbare profondamente e prontamente quell’ equilibrio delle sinergie vitali che ha esponenti nella salute e sull’integrità corporea, qualora questo quid nell’unità di tempo ovvero in un tempo ristretto in breve volgere, agisca sull’organismo in virtù di un’efficacia qualitativa sua intrinseca vuoi primigenia e già pronta vuoi ulteriormente sviluppata oppure per efficacia conseguita mediante insistenza e reiterazione concentrata di attività. Causa violenta viene ad essere sinonimo cioè di veemenza eziologica. Questa veemenza eziologica sussiste ogni qual volta una causa lesiva raggiunga una certa entità e svolge la sua azione in modo rapido. Entità lesiva e concentrazione cronologica sono i due elementi che devono concorrere affinché la causa di un infortunio raggiunga gli estremi della violenza richiesta dalla legge per l’infortunio indennizzabile”.
Ricorre qui il concetto di causalità concentrata, e chiaramente concentrato è il momento di contatto con il virus. È innegabile che il virus sia una entità lesiva esterna ed altresì è innegabile che il contagio avvenga con concentrazione cronologica.
Ancora citando la dottrina: “quando parliamo di istantaneità, o di rapidità di azione, intendiamo riferirci alle modalità dell’incontro della causa lesiva con l’organismo, non già le modificazioni che questa causa induce dall’organismo medesimo e che possono avere lenta evoluzione. In questo equivoco insorsero molti ed è sorpresa d’appiglio per alcuni per sostenere che ad esempio una malattia infettiva non può esser mai considerata come infortunio del lavoro, perché in essa il danno alla salute si produce non per l’azione istantanea ma continuata o più o meno lenta dell’ agente … Anche in certe malattie da parassiti animali possono ricorrere gli estremi di un infortunio del lavoro, e precisamente quando in un sol tempo si abbia la presentazione di un numero di germi sufficienti a costituire la malattia, come nel caso dell’echinococco[2], e quanto gli agenti specifici abbia la capacità di moltiplicarsi nell’organismo nel quale sono penetrati, come avviene ad esempio nella trichiniasi[3]”.
L’interpretazione non è, voglio precisare infine, solo di dottrina medico-legale ma è confermata nella giurisprudenza dell’epoca, ampiamente citata nella monografia del Borri del 1910.
Di particolare rilievo una sentenza del Tribunale di Napoli cui è seguita sentenza della Corte di Appello di Napoli, del 2/7/1902, attinente un caso di peste. Relativamente alle contestazioni della parte assicuratrice convenuta la corte argomenta: “in ordine alla prima obiezione sollevata dalla convenuta… Nel senso che non si possa estendere l’applicazione…” del concetto di causa violenta “se non a quegli infortuni che provengono da causa traumatica… La dizione del detto articolo pare escludere una simile limitazione… Non si accenna quindi ai traumi propriamente detti e il legislatore avrebbe, come gli sarebbe stato facile indubbiamente indicare ,se avesse voluto tutto considerarli quale unica causa del diritto all’indennità… Lesione, nel senso lato della parola, significa qualunque danno che provenga alla salute nel mentre per causa violenta deve intendersi quella che dipendenza del lavoro e come conseguenza immediata cagiona l’operaio un improvviso e subitaneo nocumento… Può incontrare la morte o le infermità non solo per cadute oltre avvolgimenti in congegni meccanici che ne frantumano e lacera nel corpo… Ma altresì per malattie aventi frequentemente causa repentina e diretta nel lavoro”. La corte di appello ha poi interpretato in modo differente il concetto, ma con argomentazioni di fatto non condivisibili confondendo la violenza della causa con la violenza dell’effetto.
La Corte di Appello di Napoli in sentenza del 29/7/1904 afferma chiaramente: “per causa violenta non si intende solo una causa traumatica ma qualunque fatto che venga come improvvisamente ad attaccare l’individuo e produca i perniciosi effetti in breve tempo e non a seguito di processo lento e progressivo quindi nell’espressione “causa violenta” va compresa una malattia epidemica e nella specie la peste bubbonica”.
Tale sentenza è poi stata valutata dalla Corte di Cassazione di Napoli[4] che ne ha confermato i contenuti affermando: “causa violenta secondo l’espressione della legge è quella che abbia prodotto con forza un effetto dannoso alla personale altrui integrità. Quindi tale va considerata la peste bubbonica”.
E ancora il Tribunale di Napoli con sentenza 11/4/1904: “non è lecito limitare la causa violenta ai soli fatti di natura traumatica”.
E ancora la Corte di Cassazione di Napoli in sentenza 31/7/1905: “per la risarcibilità dell’infortunio non occorre che esso sia conseguenza di un fatto meccanico e si manifesti in una lesione traumatica esterna; poiché risarcibile anche l’infortunio cagionato da malattie organiche contratte in occasione di lavoro”.
E ancora Corte di Cassazione di Firenze 19/4/1906: “perché si abbia un infortunio risarcibile, occorre stabilire il nesso di causalità fra esso il lavoro, la sua dipendenza diretta o indiretta, immediata o mediata, dall’atto o dal fatto del lavoro, perché qualunque influenza esterna può rivestire i caratteri della violenza, quando sia capace, o immediatamente, o tempo più lungo e con effetto più o meno grave secondo la sua intensità di perturbare la salute o di produrre la morte”.
Giungendo a una sintesi, il concetto di causa violenta è stato dipanato e infine definito attraverso una interpretazione sia dottrinaria medico-legale che giurisprudenziale, anche di Cassazione. Ritengo di poter affermare che al nascere del termine con la legge infortuni sul lavoro, vi sono state discussioni sull’interpretazione e la sintesi delle stesse, è deducibile dagli scritti e dalle sentenze dell’epoca.
Causa violenta è quando il contatto con l’agente lesivo esterno è concentrato cronologicamente.
Non penso vi siano margini di discussione su tale concetto, tra l’altro mai in discussione fino al comparire delle infezioni da Sars-Cov 2.
È necessario ora chiarire se nella polizza infortuni private il concetto è stato contestato e interpretato differentemente.
È opportuno, quindi, andare a verificare i dettati di polizza all’epoca emanati.
Di seguito verrà riportata la dizione di alcuni contratti ma anticipo subito che le compagnie di assicurazione NON hanno contestato il concetto di causa violenta ma hanno posto però delle delimitazioni del rischio attraverso specifiche cause di esclusione.
Cause di esclusione rappresentate da articoli specifici che escludevano le infezioni a meno che esse non fossero conseguenza di una lesione meccanica, di una lesione corporale obiettivamente constatabile.
In definitiva chiaramente negli anni 20 era stato stabilito da dottrina medico-legale che una infezione era infortunio nel momento in cui il contatto con l’agente infettivo non potesse che essere subitaneo, a prescindere dalla precisa identificazione temporale del momento.
In quell’epoca nascevano i contratti di polizza infortuni in modo diffuso.
Le compagnie di assicurazione risultavano accettare e non contestare il termine di causa violenta e il suo significato, come declinato da dottrina e giurisprudenza, riportandolo nei contratti.
Con ciò il rischio infortuni avrebbe di necessità previsto anche le malattie infettive, batteriche o virali come il Covid 19.
Le compagnie di assicurazioni al fine di non estendere a queste fattispecie patologiche il rischio infortuni ponevano delle precise delimitazioni, delle esclusioni nei contratti di polizza.
Su questo aspetto va considerato che in polizze più antiche o comunque che ricalcassero le polizze più antiche non è prevista la dizione presente nelle successive, non c’è quindi alcun cenno alla causa violenta, ma si precisa che l’assicurazione è limitata alle cause meccaniche. Ad esempio in una polizza dell’Istituto Italiano di Previdenza che risale al 1922 si può leggere: “l’assicurazione vale per il caso in cui un infortunio, quale è appresso definito, causi all’assicurato delle lesioni corporali obiettivamente determinabili e tali che siano causa diretta, esclusiva e provata della di lui morte, invalidità permanente o inabilità temporanea, sopraggiunte le prime entro un anno dall’infortunio, l’ultima immediatamente. Agli effetti dell’assicurazione per infortunio si intende soltanto un caso fortuito, del tutto indipendente dalla volontà dell’assicurato, che si concreti nell’azione repentina e violenta di una forza meccanica esterna, determinante delle lesioni corporali…”. È chiaro che con una dizione di questo tipo le infezioni erano lampantemente escluse.
Ancora in questo contratto si legge: “In eccezionale deroga al criterio della forza meccanica, sempre che concorrono tutte le altre premesse condizioni, sono però comprese nell’assicurazione: l’asfissia per subitanea fuga di gas o di vapori, lesione causata dal fulmine o da altre scariche elettriche, da improvvisi contatti con corrosivi o da ustioni”. E ancora più chiarificatore all’articolo 5: “Fra i casi che, a norma dell’articolo 2, non si comprendono nell’assicurazione, si annoverano le lesioni procuratesi dall’assicurato volontariamente; gli effetti del freddo, del gelo, di insolazione e di ogni altra influenza termica o atmosferica; l’annegamento in occasione del bagno o del moto; gli effetti prodotti da sostanze o cose qualsiasi ingerite o altrimenti immesse nel corpo; gli avvelenamenti, le infezioni che non abbiano per causa diretta, esclusiva e provata una lesione quale prevista nell’articolo 2”.
Le polizze successive venivano però modificate e ammettevano invece infortuni da causa violenta, non solo meccanica, termine che scompariva.
Ad esempio in polizza della Toro Assicurazioni del 1966 la dizione è di “evento esterno, fortuito e violento”. In polizza della Unione Subalpina Assicurazioni del 1962 si legge: “evento dovuto a causa fortuita violenta ed esterna”.
Peraltro per continuare a delimitare il rischio venivano poste nelle nuove polizze delle esclusioni.
È lampante come la compagnia di assicurazione nel momento in cui inserisce delle fattispecie escluse, delle clausole aggiuntive di esclusione, ritiene che la dizione generale di infortunio meriti delle specifiche limitazioni del rischio. Non contesta il rischio come delineato nella definizione di infortunio, ma pone delle esclusioni precise per limitare il rischio.
Mettere delle esclusioni significa che in assenza della stessa la fattispecie rientrerebbe nella definizione di infortunio e quindi risulterebbe indennizzabile. Se ciò non fosse le esclusioni “ad hoc” non servirebbero.
Le polizze negli anni successivi ripetono quindi questa modalità contrattuale, ribadendo la esclusione delle infezioni dal rischio assicurato. Ma sempre con clausole di esclusione!
Una polizza infortuni della Compagnia Anonima d’Assicurazione di Torino, Toro Assicurazioni, risalente al 1966, non poneva la limitazione alle cause solo meccaniche, ma manteneva le esclusioni per quanto riguarda le infezioni: “sono altresì esclusi gli avvelenamenti, il carbonchio, la malaria, le infezioni che non abbiano per causa diretta ed esclusiva una lesione ai sensi dell’articolo 2, le affezioni interne ad esterne conseguenti ad emanazioni radioattivi…”.
Ancora una polizza della Società Cattolica di Assicurazione del 1979 metteva la medesima esclusione: “infezioni che non abbiano per causa diretta ed esclusiva una lesione”.
Un’altra polizza di Toro Assicurazioni del 1972 portava la medesima dizione nel capitolo delimitazione dell’assicurazione, esclusioni.
E ancora una polizza di assicurazione infortuni cumulativa della Unione Subalpina di Assicurazioni del 1963. Vi è sempre la medesima esclusione. E così nelle polizze Unipol risalenti al 1965. E ancora nella polizza cumulativa infortuni di assicurazioni Generali del 1986. Non ripeto il dettato perché la dizione è sostanzialmente la medesima.
Possiamo quindi dire che l’esclusione era presente in un qualsiasi contratto di polizza infortuni dell’epoca e per questo motivo le infezioni erano escluse dall’indennizzo malgrado avessero le caratteristiche di infortunio come dottrina aveva delineato negli anni 20.
Per inciso in una polizza del 1905 per esempio non vi è questa esclusione, perché non vi era stata ancora chiarificazione precisa in dottrina medico-legale e giurisprudenza sul concetto di causa violenta, che quindi non compariva nelle condizioni di polizza, nella definizione di infortunio. Quindi nel 1905 l’esclusione non era tassativa o necessaria perché non era ancora chiaro che la causa violenta non si riferisse alle sole cause meccaniche.
Con ciò negli anni diviene pacifico nella prassi valutativa e di indennizzo che le infezioni non dovute ad un iniziale momento traumatico meccanico non fossero indennizzabili.
Non lo erano certamente, per la presenza appunto di una specifica esclusione.
Si giunge però con ciò agli anni 90 e in particolare all’emanazione di una polizza ANIA di riferimento del novembre 1996. Tale polizza di riferimento, citando Bruno, Catinelli, Cortivo, Farneti, Fiori e Mastroroberto: “diverge in alcuni punti da quella preesistente e che nel mercato esiste una fioritura di polizza infortuni che non fanno riferimento né a quella che qui si commenta né a precedente testi ANIA con divergenze sia nella parte disciplinata dalle condizioni generali di assicurazione sia ancor più nella parte disciplinata dalle condizioni particolari dattiloscritte”.
Vi è stata così una fioritura di polizze in cui la esclusione delle infezioni non dovute a lesione corporale obiettivamente constatabile scompariva.
Compariva peraltro un’inclusione. La maggior parte delle polizze era modificata ed era riportata l’inclusione che erano indennizzabili le infezioni dovute a lesione corporale obiettivamente constatabile. Scompariva in sostanza la esclusione presente nelle polizze precedenti.
Disattenzione? Motivi commerciali? Evidentemente non è dato saperlo, ma il dato di fatto è che l’esclusione veniva rimossa.
Nel momento in cui non vi era più l’esclusione la disciplina delle infezioni rientrava nel concetto generale di causa violenta e quindi vi era necessariamente un ampliamento del rischio assicurato. Di fatto quella delimitazione del rischio per le infezioni, presente nelle polizze antecedenti al 96, scompariva.
Si potrebbe sostenere che la inclusione necessariamente era posta per limitare l’indennizzabilità ai soli casi di lesione corporale obiettivamente constatabile a monte. Ma questo non è vero perché la inclusione in realtà permetteva l’indennizzabilità delle infezioni di ferite che altrimenti non sarebbero risultate indennizzabili perché espressione di una concausa di lesione sopravvenuta.
Una ferita che successivamente si infettava non sarebbe stata indennizzabile perché vi era la sovrapposizione di una nuova causa, di un nuovo evento, rappresentato dall’arrivo del batterio. E non sarebbe neppure stata indennizzabile l’arrivo del batterio prendendolo come infortunio perché questo avrebbe trovato la concausa preesistente della ferita.
Condizioni quindi che non sarebbero state indennizzabili alla luce dell’articolo sui criteri di indennizzabilità, presente nella maggior parte delle polizze, che esclude le condizioni patologiche preesistenti o sopravvenute.[5]
Di fatto non ci sarebbe altro da aggiungere perché la lettura è lampante.
Esisteva il concetto di causa violenta, consolidato e inserito nelle polizze il termine nelle condizioni generali. Esisteva una limitazione del rischio, con una esclusione specifica per le infezioni. Questa è stata successivamente rimossa. Quindi le infezioni rientrano, come da dottrina e interpretazione pragmatica consolidata, nel concetto di causa violenta.
La inclusione presente nelle polizze non può essere indirizzata ad escludere una cosa, nel momento in cui è posto nell’articolo delle inclusioni e non c’è nessuna esclusione per quella fattispecie. La inclusione, inoltre, ha la finalità di ammettere all’indennizzabilità il caso di una concausa sopravvenuta (agente infettivo) su una lesione corporale con caratteristiche di infortunio da causa meccanica. Senza l’inclusione l’infezione di una ferita non sarebbe indennizzabile.
Ora il diniego ad indennizzare le infezioni da COVID in ambito di polizza infortuni a mio parere nasce dal fatto che l’assicuratore, col passare degli anni, ha ritenuto scontato che le infezioni non fossero da causa violenta. Ciò però dimenticando la storia e i concetti consolidati, e affidandosi alla prassi che però era tale per la presenza di una specifica esclusione e non per il fatto che le infezioni non rientrassero nel concetto di causa violenta. Oppure, ipotizzando la conoscenza dei concetti da parte dell’assicuratore, per una voluta ammissione di un rischio maggiore, forse anche ai fini commerciali.
La necessarietà di una esclusione specifica è comunque richiamata anche in letteratura successiva sull’argomento.
Il Durante[6] scriveva nel 1974, che molte delle esclusioni potrebbero dirsi implicite, conseguenze ovvie della definizione di infortunio, tanto che qualche impresa si astiene dall’elencarle partitamente. L’autore si esprime riguardo alle infezioni: “che sono anch’esse escluse, eccetto quelle che abbiano per causa diretta ed esclusiva una lesione”. Fa cioè anche Egli riferimento ad una precisa clausola presente nelle polizze dell’epoca. Conclude affermando “le infezioni sono infortuni se ne presentano le caratteristiche “.
Ancora il Borri, Trattato di Medicina Legale, citato e commentato da Amleto Loro[7], “l’infortunio si verifica ogni qualvolta avvenga accidentalmente l’incontro dell’essere uomo con una causa lesiva svolgendosi nell’ambiente esterno”.
Ancora il Palmieri,[8] “evento accidentale che, ripercuotendosi dall’esterno in tempo assai breve, determina un danno al corpo o alla salute”.
Ancora il Cazzaniga, Programma di Medicina Legale, Milano 1937, “l’immissione di germi patogeni che dia luogo ad infezione è considerata causa violenta, sempre che si realizzi in breve spazio di tempo (carbonchio, tetano ecc.) con che si identifica la causa virulenta con la causa violenta”.
E ancora il Di Luca[9] , nell’argomentare di causa fortuita violenta ed esterna, “il carattere dell’esteriorità, infine, si riferisce al rapporto tra antecedente causale ed organismo umano. La causa della lesione deve essere estranea alla persona dell’Assicurato e deve provenire dall’esterno rispetto al suo organismo”.
Varie voci medico-legali si sono però espresse al comparire del COVID sostenendone la non indennizzabilità.
Alcune delle argomentazioni espresse peraltro a mio parere rappresentano delle fallacie perché non entrano nel nocciolo del problema e sostengono la non indennizzabilità per motivi che di fatto sono facilmente contestabili. Alcuni in particolare mostrano un carente modus ponendo ponens tra premesse e argomentazioni.
Si è letto che non sarebbe indennizzabile l’infezione da COVID-19 per il mancato rispetto dei 3 giorni dall’evento alla denuncia. A prescindere dal fatto che una latenza superiore ricorre in molteplici fattispecie ed è la causa che va individuata eventualmente, non l’effetto (l’ematoma subdurale cronico frequentemente denunciato a distanza perché il trauma iniziale può essere triviale), va comunque precisato che il ritardo teorico nella denuncia non è sanzionato nelle polizze. Non c’è cioè scritto che se il fatto non viene denunciato entro 3 giorni il diritto decade.
La definizione di polizza è tale, mutuata da altri tipi di assicurazione danni, per permettere all’assicuratore di intervenire eventualmente tempestivamente dopo il fatto per la protezione del bene danneggiato. E non certo per escludere un danno realmente realizzatosi.
La premessa non porta alla conclusione espressa tacendo altre premesse, attuando cioè, la cosiddetta fallacia del raccoglitore di ciliegie. (Cherry picking, fallacia dell’evidenza incompleta).
Altri commenti argomentano relativamente al fatto che il momento dell’infezione da COVID 19 “non è per nulla individuabile a livello temporale”. Questo non c’entra proprio nulla con il concetto di causa violenta. Se dovessimo condividere un’affermazione di questo tipo dovremmo ritenere che un cadavere trovato con un colpo di pistola al cranio però a distanza di qualche giorno dalla presunta data della morte non vedrebbe indennizzabile l’infortunio perché non si sa se è morto di martedì, di mercoledì o giovedì posto che a distanza di giorni la data precisa del decesso è difficile stabilirla. E ritengo che nessun assicuratore proverebbe a negare l’indennizzo per il caso morte in una fattispecie di questo tipo, perlomeno con la motivazione più sopra citata.
Altre voci di letteratura, innegabilmente più fondate e di possibile discussione, si riferiscono all’articolo 1368 del codice civile che riguarda le clausole ambigue: “Le clausole ambigue s’interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso”. E ancora all’articolo 1362 che recita: “(Intenzione dei contraenti). Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole”. Come sopra argomentato il concetto di causa violenta non è rapportabile un’interpretazione semantica del termine ma un’interpretazione pragmatica che deriva da ampia discussione sull’argomento.
Non vi era mai stata contestazione di tale interpretazione da parte delle compagnie di assicurazioni fino al comparire della COVID 19 (e conseguenti eventuali esborsi per tale fattispecie).
Il richiamo al criterio del comune sentire, alla comune intenzione delle parti in realtà non trova a mio parere condivisione. Secondo Cassazione (sentenza 11 marzo 2014, n. 5595) ad esempio: “se è vero che il Giudice è tenuto ad indagare quale sia stata la comune volontà dei contraenti, è altresì vero che -qualora il senso letterale della convenzione riveli, per le espressioni usate, siffatte volontà, e non risulti alcuna ragione di divergenza fra lettera e spirito della convenzione- un’ulteriore interpretazione è inammissibile in quanto condurrebbe il giudice a sostituire la propria soggettiva opinione alla volontà effettiva dei contraenti”. Per citare “Cum in verbis nulla ambiguitas est, non debet admitti voluntatis quaestio” (quando nei termini di un contratto non esista alcuna ambiguità, non so deve ammetter alcuna questione sulla volontà dei contraenti).
La materia comunque è propriamente di tipo giuridico e non medico-legale.
A mio parere non vi è ambiguità nel contratto tenendo conto della storia delle clausole e dell’interpretazione consolidata dei concetti espressi. E non dimenticandoci che esiste anche l’articolo 1370 del codice civile, e cioè l’interpretazione a sfavore dell’estensore in caso di contratti stipulati con formulari precompilati, come sono le polizze infortuni.
Autorevoli medico-legali sostengono che dovrebbe essere modificato il concetto di violenza della causa. Auspicano correttivi nelle polizze infortuni. Se tale è la preoccupazione e cioè l’indennizzabilità delle infezioni in polizza infortuni non serve molta fatica, è sufficiente che venga ripristinata l’esclusione contrattuale che c’era fino al 1996 nella gran parte delle polizze e cioè l’esclusione delle infezioni.
Un altro argomento sollevato è il fatto che la tutela sociale è un’altra cosa rispetto alla polizza infortuni.
Ma se la definizione di infortunio è la medesima e l’interpretazione di causa violenta non è stata contestata dalle compagnie a suo tempo, che appunto hanno ritenuto di porre un’esclusione e non, ripeto, di contestare il concetto ma anzi inserirlo nei loro contratti, non vedo quale sia il motivo sociale che faccia interpretare in modo differente i contratti.
La presenza di un’esclusione in passato è la dimostrazione che anche l’estensore della polizza ammetteva il rischio compreso nel concetto di causa violenta e lo limitava attraverso una esclusione.
Faccio un esempio: se pongo in vendita una casa con tutto ciò che vi è dentro e non voglio che l’acquirente prenda anche la mia lampada preferita, scrivo nel contratto che questa lampada non rientra nella vendita. Se mi dimentico di scriverlo non posso poi sostenere che è comune sentire che la lampada non faccia parte della casa!!!
Posso pertanto affermare, dopo le argomentazioni sin qui enunciate, che l’infezione da Sars-Cov 2 deve considerarsi infortunio ai sensi del contratto di polizza infortuni.
La disciplina nell’inquadramento del Covid 19 in polizza infortuni non può però prescindere dal considerare l’articolo sui criteri di indennizzabilità e quindi le concause che non infrequentemente per questa patologia ricorrono nel favorire l’infezione o aggravarla (immunodepressione, comorbidità cardiache o respiratorie).
Al riguardo dovrà però sempre essere considerata la necessarietà della comorbidità nel causare l’invalidità o morte.
E ben ricordare come tutte le eventuali condizioni preesistenti debbono essere provate e non solo ipotizzate dal debitore. E deve essere altresì dimostrata la loro valenza causale come condizione necessaria a realizzarsi del danno.
Al riguardo si può citare Cassazione Civile Ord. Sez. 3 Num. 1558 Anno 2018, che io ritengo molto illuminante sull’argomento, Relatore: Rossetti Marco. Data pubblicazione: 23/01/2018.
“I rischi inclusi sono quelli per i quali il contratto accorda all’assicurato il pagamento dell’indennizzo. I rischi esclusi sono quelli del tutto estranei al contratto (ad es., il rischio di infortuni rispetto ad una polizza che copra la responsabilità civile). I rischi non compresi sono invece quelli che astrattamente rientrerebbero nella generale previsione contrattuale, ma l’indennizzabilità dei quali è esclusa con un patto espresso di delimitazione del rischio (ad esempio, in un contratto di assicurazione contro i danni da incendio, si esclude l’indennizzabilità degli incendi provocati dal fulmine).”
Con questo concludo le mie riflessioni sull’argomento.
[1] Sul sito dell’ordine dei medici di Firenze si può trovare un’interessantissima descrizione dell’opera di questo medico-legale in particolare per quanto riguarda le problematiche connesse alla legge sugli infortuni sul lavoro, che in quegli anni andava prendendo forma( R. Decreto 29 luglio 1889,modificato con R. Decreto 29 giugno 1903 e infine nel Testo Unico della legge sugli infortuni degli operai sul lavoro con R. Decreto 31 gennaio 1904 e con il successivo Decreto luogotenenziale del 23 agosto 2017 ,Legge per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni del lavoro in agricoltura e altre modifiche di quegli anni ). “Appartiene a Borri ed è spesso ancora mutuata la sistemazione di concetti quali causa violenta, valutazione delle cause e delle concause, il problema dell’occasione di lavoro, tutti strettamente connessi con i vari aspetti dell’infortunistica, illustrati con abbondanza di esempi tratti dalla pratica peritale e quasi canonizzati in maniera definitiva nei due volumi del 1910 e 1912 Gli infortuni sul lavoro sotto il prospetto medico legale (Società Editrice Libraia, Milano). È merito di Lorenzo Borri se la legge infortuni ha teso ad assumere le sembianze di una provvidenza sociale invece di rappresentare un campo aperto alle esercitazioni fiscali di periti più o meno improvvisati. Alla “causa violenta in occasione di lavoro”, base su cui posa tutto l’edificio giuridico in materia di infortuni, egli è riuscito a imprimere un significato assai esteso: ha sostenuto che nella causa violenta rientrano le energie lesive d’ordine meccanico, fisico, chimico, biologico; anche in una malattia infettiva, contratta in speciali condizioni, si deve riconoscere la causa violenta e quindi la necessità dell’indennizzazione a norma di legge. Il concetto che i “virus” rientrino nel novero delle energie lesive è stato accettato dalla dottrina e dalla giurisprudenza così che si deve ritenere che “il termine di causa violenta abbraccia non solo il trauma veramente detto, ma qualunque influenza esterna, la quale operando in tempo e in modo determinato, cioè improvvisamente e rapidamente in occasione di lavoro, abbia in sé efficienza adeguata a perturbare la salute o sopprimere la vita”. È seguendo tale interpretazione che sin dal 1904 la peste bubbonica è stata considerata infortunio così come sono stati ritenuti indennizzabili il carbonchio, la febbre gialla, la sifilide dei vetrai e “la polmonite contratta da un operaio che ha eseguito, per ordine del principale, un lavoro sotto la pioggia”.
[2] ECHINOCOCCO Le uova ingerite dalle feci animali (che possono essere presenti sul pelo dei cani o di altri animali) si schiudono nell’intestino e rilasciano le oncosfere (forme immature di parassita all’interno di un involucro embrionale). Le oncosfere penetrano nella parete intestinale, migrano attraverso il circolo, e si annidano nel fegato o nei polmoni o, meno frequentemente, nell’encefalo, nell’osso o in altri organi. Non ci sono vermi adulti nel tratto gastrointestinale degli esseri umani.Nel tessuto, le oncosfere di E. granulosus diventano cisti, esse si accrescono lentamente (in genere nell’arco di molti anni) fino a diventare grosse lesioni uniloculate ripiene di liquido, cisti idatidee. All’interno di queste cisti si formano capsule figlie contenenti numerosi piccoli protoscolici infettivi. Le grosse cisti possono contenere > 1 L di liquido idatideo altamente antigenico, come anche milioni di protoscolici. Talvolta le cisti figlie si formano all’interno o all’esterno delle cisti primarie. Se una cisti epatica si rompe o perde liquido, l’infezione può diffondersi al peritoneo.
[3] La trichinosi ha una diffusione universale. Oltre all’agente classico Trichinella spiralis, la trichinosi può essere causata da T. pseudospiralis, T. nativa, T. nelsoni, e T. britovi in diverse aree geografiche. Circa 10 000 casi di trichinosi si verificano in tutto il mondo ogni anno. Meno di 20 casi vengono segnalati ogni anno negli Stati Uniti.Fisiopatologia della trichinosi. Il ciclo vitale della Trichinella è mantenuto da animali che vengono nutriti (p. es., maiali, cavalli) o che mangiano (p. es., orsi, volpi, cinghiali) altri animali i cui muscoli striati contengono larve incistate infestanti. Gli uomini si infettano consumando carne cruda o poco cotta o lavorata, o lavorando la carne di animali infettati, più frequentemente maiali, cinghiali selvatici od orsi. Le larve vengono liberate nell’intestino tenue, penetrano la mucosa e diventano adulte in 6-8 giorni. Le femmine sono lunghe circa 2,2 mm e i maschi circa 1,2 mm. Le femmine mature rilasciano larve vitali per 4-6 settimane e quindi muoiono o vengono espulse. Le larve appena nate migrano attraverso il flusso sanguigno e linfatico ma alla fine sopravvivono solo all’interno delle cellule dei muscoli striati scheletrici. Le larve si incistano completamente in 1-2 mesi e restano vitali per molti anni come parassiti intracellulari. Le larve morte infine vengono riassorbite o vanno incontro a calcificazione. Il ciclo continua solo se le larve incistate vengono ingerite da un altro carnivoro.
[4] fino al 1923 le corte di cassazione erano regionali, 5 per la precisione e cioè Torino Firenze Roma Napoli e Palermo.
[5] esempio di articolo tipo sui criteri di indennizzabilità :”la società liquida l’indennizzo convenuto soltanto per le conseguenze dirette ed esclusive dell’infortunio, che risulti indennizzabile a termini di polizza, indipendentemente da condizioni fisiche o patologiche preesistenti o sopravvenute; pertanto l’influenza che l’infortunio può avere esercitato su tali condizioni, come pure il pregiudizio che esse possono portare all’esito delle lesioni prodotte dall’infortunio, sono conseguenze indirette e quindi non indennizzabili.”
[6] Il contratto per l’assicurazione privata contro gli infortuni, Aldo Durante, Giuffrè ed. 1974
[7] L’assicurazione privata contro gli infortuni nei suoi aspetti medico legali, Amleto Loro, Giuffrè ed 1970
[8] Medicina Forense, Palmieri ,Morano ed. 1964
[9] L’infortunio nella assicurazione privata. Natale Mario Di Luca, Giuffrè ed. 1992